giovedì 30 ottobre 2014

La strana coppia (1968)

Regia: Gene Saks
Soggetto e sceneggiatura: Neil Simon
Attori: Walter Matthau, Jack Lemmon
Colonna sonora: Neal Hefti

I grandi film si associano quasi sempre a un grande regista; le rare eccezioni risultano perciò particolarmente gustose. Chi mai potrà ricordare il nome di Gene Saks, regista di questo spassosissimo The Odd Couple? Per la maggior parte del pubblico è un vero Carneade del cinema, per gli addetti ai lavori un nome che al di là di questo si associa a qualche altro titolo di onesta tiratura commerciale. Va notato che qui ha avuto il merito di pescare il testo giusto dal generoso serbatoio del teatro di Neil Simon (dopo aver già “assaggiato” il suo pink-side con la commedia romantica “A piedi nudi nel parco” l’anno precedente), nonchè la coppia giusta già rodata dal fiuto del grande (lui sì, indubbiamente) Billy Wilder in The Fortune Cookie (da noi tradotto: “Non per soldi… ma per denaro”). Terzo merito dell’illustre (semi)sconosciuto Saks – last but not least – quello di aver portato efficacemente sul grande schermo un teatro dal modesto spazio scenico, tutto improntato sui dialoghi, scenograficamente essenziale. Mica facile! Si aggiunga comunque la doppia lode all’autore del soggetto, che qui è pure lo sceneggiatore.
Poi, vabbè, ci sono loro due. Jack Lemmon e Walter Matthau, che binomio straordinario, davvero inattaccabile. Quale sia stata la spalla e quale il motore di tanta spontanea comicità è impossibile stabilirlo; entrambi hanno funzionato benissimo anche da soli, ma in coppia beh, non ce n’era per nessuno. Da un certo punto di vista, la vulcanicità dei due è paradossalmente anche il limite del film, se per film si intende il concept finale di un rassemblement di pezzi e non l’emozione che ci arriva da dietro lo schermo. Le componenti ‘tecniche’ passano in secondo piano perchè sono meramente funzionali ai due personaggi e le loro gags. Lo stesso dicasi per il resto del cast, con gli onesti gregari hollywoodiani Herb Edelman e John Fielder e i più “televisivi” David Sheiner e Larry Haines.
Le sequenze che restano sono tante, ne eleggo una particolarmente divertente e significativa: la cenetta con le sorelle Piccioni (Monica Evans e Carole Shelley, tanta simpatia), iniziata con toni frivoli e finita nel piagnisteo di Lemmon. Memorabile.
Sulla colonna sonora c'è da dire che rimane in testa il simpatico motivetto The Odd Couple ideato dal trombettista Neal Hefti. Piccola digressione: Hefti è autore di uno dei miei standards preferiti, Lil’ Darlin’, struggente slow scritto per la Count Basie Orchestra.
A pensarci bene, in tutta la sua stravaganza questa convivenza tra due uomini così diversi tra loro ricalca un modello famigliare già visto e collaudato, graniticamente nuziale direi, con la sola particolarità che il ruolo della housewife hollywoodiana è affidato ad un uomo, generando ovviamente il facile sollazzo dello spettatore anni sessanta, nel suo stereotipo di maschio da divano sbafatore di hamburger che fatica a comunicare con la donna casalinga, maniaca delle pulizie e della cucina e soggetta a improvvisi sbalzi d'umore. Basta un paio di braghe, e l'effetto comico è assicurato.

mercoledì 29 ottobre 2014

Il ladro di Bagdad (1924)


Regia: Raoul Walsh
Attori: Douglas Fairbanks
Scenografie: William Cameron Menzies
Costumi: Mitchell Leisen

https://www.youtube.com/watch?v=mFOjCXzaOgAFilm muto del 1924 firmato dal grande Raoul Walsh, una autentica perla del genere fantastico e avventuroso, più propriamente lo swashbuckler - letteralmente "furfante" - che in Italia viene incluso nel pentolone del "cappa e spada". L'aggettivo calza a pennello al protagonista indiscusso della pellicola, l'istrionico "King of Hollywood" Douglas Fairbanks, stella dalla fisicità esplosiva e dalla gestualità esasperata, con quei baffetti curati, il ricciolo e la basetta sempre freschi di barbiere e i vistosi pendagli zingareschi alle orecchie. Un vero e proprio mattatore del set negli anni di maggior gloria, quando ancora non erano nati i talkies; attualizzando, il protagonista di "The Artist" - il bravissimo Dujardin - si è manifestamente ispirato a lui. A debita distanza dalla primastella, si affianca il resto del cast: la bella Julanne Johnston nell'interpretazione maior di una carriera non proprio folgorante, la civettuola Anna May Wong che invece un po' di strada in più ne fece (fu la sensuale cortigiana di Marlene Dietrich in Shanghai Express), un affilato Sojin Kamiyama nei panni del malvagio principe mongolo, il caratterista Snitz Edwards che interpreta il  socio in ruberie e uno ieratico Charles Belcher nei panni di un imam.
In questa setosa pellicola, l'occhio viene sedotto dalle fascinose nuances che 'catalogano' le sequenze: giallo seppia o rosa per differenziare gli interni, un giallo più marcato per il deserto, l'intenso blu della notte, il verdastro limaccioso degli abissi. Si tratta del cosiddetto viraggio fotografico, operazione chimica che consente di "virare" appunto il colore dal classico bianco-nero ad altre tonalità mediante la combinazione tra l'argento metallico e altre sostanze coloranti. Al di là di questo trucchetto cromatico, comunque, l'effetto visivo più straordinario deriva dagli stravaganti e sfarzosi costumi di Mitchell Leisen oltre che dalle favolose scenografie di William Cameron Menzies, vero trionfo di legno, tessuti, gesso e cartapesta tra architetture esotiche, antri, vicoli,  giardini e profondità del mare.
Certo gli effetti speciali dell'epoca fanno sorridere, se confrontati con le tecniche digitali moderne. Ma la battaglia subacquea contro un improbabile ragno gigante degli abissi, o il vortice dell'invisibilità con cui il baldanzoso Fairbanks strappa la bella dalle grinfie del villain hanno qualcosa di poetico,  non possono lasciar indifferenti i visionari sognatori di vecchio stampo.