lunedì 19 gennaio 2015

Inferno, Canto IV. Il castello dalle sette mura


Per dirla con immagine fanciullesca: messo ormai il piede sull'ultimo gradino della scaletta, non rimane che sedersi e prepararsi a scendere giù per lo scivolo. Non verso la conca di sabbietta, ma verso l'abisso.

Dante si risveglia al rimbombare di un tuono (buffo, nel Canto III sempre un tuono fu causa del suo svenimento), e si trova – rintronato come al solito - sull'altra riva dell'Acheronte. Virgilio è pallido come un lenzuolo; come dire, per lui tornare a "casa" non è propriamente una festa...

Siamo infatti nel Limbo, primo cerchio che l'abisso cigne, il luogo dove sono collocati i non battezzati. Qui languono anche i migliori tra loro, quelli che non peccarono; infatti Virgilio puntualizza: s'elli hanno mercedi, non basta.

Una forma di mezza giustizia li toglie dagli inferi più roventi, ma impedisce loro di accedere alla grazia eterna, come Virgilio stesso il quale mestamente declama: Per tai difetti, non per altro rio... sanza speme vivemo in disio.

Ora qui la cosa si fa interessante. Dante soffre (Gran duol mi prese al cor) della condizione di Virgilio e di quanti, come lui, pur essendo gente di molto valore ha avuto la sfiga di nascere prima di Cristo. Ovviamente il lasciapassare per il Paradiso viene rilasciato a Adamo (il primo parente), Abramo e tutti i profeti del Vecchio Testamento. Ma fuor di Bibbia niuna salvezza.

Del resto, figuriamoci se nel '300 Dante poteva immaginare di collocare i suoi "miti letterari" in Paradiso; l'avrebbero arso al rogo come minimo.

E qui Dante pennella come può, ben attento all'occhio feroce della censura religiosa. Per risparmiare ai grandi poeti latini e greci (la bella scola) le pene peggiori, li mette in un luogo protetto, diciamo una specie di gabbia d'oro.


Un castello circondato da sette mura più un fiumicello. Sembra voler proteggere e distinguere la grande cultura degli spiriti magni dall'altra comune umanità; tra i tanti nomi, vi è la presenza un po' discreta (solo, in parte) di Yūsuf ibn Ayyūb, conosciuto in occidente come Saladino, che se vogliamo rappresenterebbe anche l'esempio più alto della Guerra Santa contro la cristianità. Qui Dante credo abbia rischiato un pochino, facendo comunque leva sulla grande fascinazione che Saladino esercitava a suo tempo in occidente.

Insomma, in questo Canto si capisce benissimo che al nostro Dante la cultura stava a cuore, eccome! Non potendo sottrarla del tutto al vaglio della tremenda religione del suo tempo, cercò teneramente di proteggerla con la sua altissima e viva immaginazione.

Percepiamo qui l'ultima visione di luce, prima di sprofondare nell'abisso tenebroso (ove non è che luca) del Secondo Cerchio...



Vedi anche:
Canto I:  L'Altro Viaggio
Canto II: L'impedito nella diserta piaggia 
Canto III: Dentro le segrete cose




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