Per dirla con immagine fanciullesca: messo ormai il piede sull'ultimo gradino della scaletta, non rimane che sedersi e prepararsi a scendere giù per lo scivolo. Non verso la conca di sabbietta, ma verso l'abisso.
Dante
si risveglia al rimbombare di un tuono (buffo, nel Canto III sempre
un tuono fu causa del suo svenimento), e si trova – rintronato
come al solito - sull'altra riva dell'Acheronte. Virgilio è
pallido come un lenzuolo; come dire, per lui tornare a "casa" non è propriamente una festa...
Siamo
infatti nel Limbo, primo
cerchio che l'abisso cigne,
il luogo dove sono collocati i non battezzati. Qui
languono anche
i migliori tra loro, quelli che non peccarono; infatti Virgilio
puntualizza: s'elli
hanno mercedi, non basta.
Una
forma di mezza giustizia li toglie dagli inferi più roventi, ma
impedisce loro di accedere alla grazia eterna, come Virgilio stesso
il quale mestamente declama: Per tai difetti, non per altro rio...
sanza speme vivemo in disio.
Ora
qui la cosa si fa interessante. Dante soffre (Gran duol mi prese
al cor) della condizione di Virgilio e di quanti, come lui, pur
essendo gente di molto valore ha avuto la sfiga di nascere
prima di Cristo. Ovviamente il lasciapassare per il Paradiso viene
rilasciato a Adamo (il primo parente), Abramo e tutti i
profeti del Vecchio Testamento. Ma fuor di Bibbia niuna salvezza.
Del
resto, figuriamoci se nel '300 Dante poteva immaginare di collocare i
suoi "miti letterari" in Paradiso; l'avrebbero arso al rogo
come minimo.
E qui
Dante pennella come può, ben attento all'occhio feroce della censura
religiosa. Per risparmiare ai grandi poeti latini e greci (la
bella scola) le pene peggiori, li mette in un luogo protetto,
diciamo una specie di gabbia d'oro.
Un
castello circondato da sette mura più un fiumicello. Sembra voler
proteggere e distinguere la grande cultura degli spiriti
magni
dall'altra comune umanità; tra
i tanti nomi, vi è la presenza un po' discreta (solo,
in parte)
di Yūsuf ibn Ayyūb,
conosciuto in occidente come Saladino, che se
vogliamo rappresenterebbe
anche
l'esempio più alto della Guerra Santa contro la cristianità. Qui
Dante credo abbia rischiato un pochino, facendo comunque
leva sulla grande fascinazione che Saladino esercitava a suo tempo in
occidente.
Insomma, in questo Canto si capisce benissimo che al nostro Dante la cultura stava a cuore, eccome! Non potendo
sottrarla del tutto al vaglio della tremenda religione del suo tempo,
cercò teneramente di proteggerla con
la sua altissima e viva immaginazione.
Percepiamo qui l'ultima visione di luce, prima di sprofondare nell'abisso tenebroso (ove
non è che luca) del
Secondo Cerchio...
Vedi anche:
Canto I: L'Altro Viaggio
Canto II: L'impedito nella diserta piaggia
Canto III: Dentro le segrete cose
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