mercoledì 21 gennaio 2015

Inferno, Canto V. Paolo e Francesca


Un canto straziante. Lascia davvero turbati, fa scendere nel cuore un filo di tristezza.
Qui soprattutto si avverte la compassione in Dante; non è un freddo testimone nè tantomeno un sanguigno accusatore, ma penetra ne "le segrete cose" partecipando con i propri sentimenti. Qui non si avverte tanto la sua goffaggine, quanto la sua umanità.
C'è un cambiamento evidente nella percezione del lettore tra l'inizio e la fine del Canto. All'inizio, Minosse e la sua orribile coda che smista i peccatori, la tempesta che fa turbinare le anime (La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina) come uno stormo di uccelli (E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sè lunga riga).
Poi, dal triste mucchio si stacca come una leggera colomba la coppia dei "lussuriosi" Francesca e Paolo, dolcemente e dolorosamente avvinghiati, ai quali Dante si rivolge chiedendo, con estremo tatto, di raccontare la loro storia. Il discorso di Francesca da Rimini tocca le corde dei cuori più induriti, mentre Paolo tace per tutto il tempo, solo piange.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende... Amor, c'ha nullo amato amar perdona... Amor condusse noi ad una morte... L'amore cattura e intrappola nel suo gioco. Quell'amore salvifico di cui parlava Beatrice nel II Canto (Amor mi mosse...) è dunque così diverso da quello di Francesca? C'è un amore colpevole?
Non è bene dar risposte frettolose o preconfezionate. Nè in un senso, nè nell'altro. Forse è più saggio, come spesso accade, lasciar decantare la domanda.
Piuttosto fare come Dante, sensibile struzzo che spreme fuori dal cuore il suo generoso succo: sì che di pietade io venni men così com'io morisse. E caddi come corpo morto cade.
O svenevole Dante, sei molto buffo ma cominci davvero a piacermi.



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