lunedì 2 febbraio 2015

Inferno, Canto VII. Paperone, Rockerduck e la rissa ai fanghi


Canto complesso e di difficile lettura, proprio dal punto di vista fonetico in quanto presenta una serie di versi particolarmente aspri, in cui la lingua incespica facilmente.
Siamo al IV Cerchio infernale e, come preannunciato nella chiosa al Canto precedente, incontriamo il terribile Pluto. Sì, terribile fino a un certo punto. Come per Cerbero, tutta sta belluina aggressività si smorza comicamente con un modesto intervento di Virgilio, domatore provetto; il ricorrente siparietto tra i custodi demoniaci e Virgilio vede quest'ultimo via via sempre più "tranchant"; dal quasi dolce "Caron, non ti crucciare" giungiamo al "Taci, maledetto lupo!". Lo stesso dicasi per la reazione della bestia; Caronte con un minimo di dignità brontola, Minosse piglia e porta a casa, Cerbero scodinzola felice e Pluto addirittura cade tramortito.
Lasciato il cagnolone con gli occhi strabuzzati e la lingua penzoloni, Dante e Virgilio assistono a una scena tipo Flintsones. I dannati rotolano enormi massi - utilità zero, ma è una condanna eterna oh, mica i lavori socialmente utili - urlando come forsennati quando si scontrano tra loro; e qui si capisce che pagano due colpe antitetiche, l'avarizia e la prodigalità. Zio Paperone e Rockerduck, in pratica. Il taccagno e lo spendaccione uniti dallo stesso destino, in quanto non hanno saputo amministrare con dovizia il denaro che è stato riservato loro dalla Fortuna.

Virgilio ne parla sciorinando versi dalla pronuncia ostica, come già accennavo all'inizio; sono metri duri, come dura è la condanna per questa gente anonima (il poeta chiede di poter riconoscere qualcuno tra i dannati, Virgilio risponde che il suo pensiero è vano giacchè la sconoscente vita che i fé sozzi ad ogne conoscenza or li fa bruni).
Si badi che qui la Fortuna non viene identificata con il caso puro e semplice, ma come una ministra del volere divino. La visione della fortuna più "umana" verrà dopo (involgarendola al punto di paragonarla alla zona meno nobile del corpo umano...), ma già all'epoca c'era chi le mandava malanni: Quest’è colei ch’è tanto posta in croce pur da color che le dovrien dar lode, dandole biasmo a torto e mala voce.
Il Canto si chiude con gli iracondi che s'azzannano nudi nel fango dello Stige - scena non bellissima, certo, ma che potrebbe essere rappresentata come una epica rissa ai fanghi termali - dei quali a Virgilio preme sottolineare con un pizzico di macabro sense of humour: "Oh Dante, non sono mica solo questi che vedi eh. C'è gente pure sotto la melma, guarda guarda le bollicine!"
Questa scena mi ha ricordato la zuffa alle terme nel memorabile "Duello a Berlino" di Powell & Pressburger, o l'omicidio al bagno turco ne l'Otello di Welles. Insomma le terme sono un postaccio, credetemi. Una lorda pozza proprio.

Riassunto delle puntate precedenti:

Canto VI: Da Cerbero a Pluto

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