giovedì 23 aprile 2015

Cavalieri di pellicola

CHE FILM, QUEI FILM (consigli di visione, tre per volta)
[n.04]

Per la festa di San Giorgio, patrono di arcieri e cavalieri, tre film a tema o sfondo cavalleresco a diversissime latitudini:

Il Settimo Sigillo (Det sjunde inseglet, 1957) di Ingmar Bergman

Cavalleria delle fredde lande nordiche
La bellezza segreta di scoprire la storia dentro questo film, del quale tutti - ma proprio tutti - conoscono un solo dettaglio; la partita a scacchi tra il cavaliere e la morte. Immagine innegabilmente fascinosa, ma che non esaurisce la portata di questo poliedrico memento mori su pellicola, in quanto si tratta soltanto dello strumento che serve a tenere i fili della trama. Bergman, nordico eretico insofferente allo spiritually correct, dipinge coi bianchi abbacinanti e i bei neri carichi della fotografia di Gunnar Fischer un viaggio picaresco attraverso le lande danesi medievali battute dalla peste e dalla superstizione, in cui emerge la diafana figura di uno splendido e ieratico Max Von Sydow circondato da personaggi caricaturali. Un castello di "destini incrociati" è il silenzioso alveo dell'ultima notte; il primo piano stringe sullo sguardo magnetico di Gunnel Lindblom, le sue labbra si stringono e si allargano prima di pronunciare il definitivo "L'ora è venuta!".


Trono di Sangue (蜘蛛巣城, 1957) di Akira Kurosawa

Feudalesimo del Sol Levante
Un magistrale Macbeth con katana e kabuto sullo sfondo del Giappone feudale. Un coro greco ci introduce al panorama desolato di nebbia e vento da dove con un flashback veniamo portati alle vestigia di una antica fortezza. Due cavalieri sperduti nell'intrico della foresta sotto la pioggia incontrano uno spirito con le sembianze di una vecchia diafana tessitrice, che predirà loro un glorioso e terribile futuro.
Così nel solco di una profezia che andrà inesorabilmente ad avverarsi vaticinio per vaticinio, cresceranno nel cuore del vulcanico Washizu il fuoco del sospetto e dell'alienazione, alimentato dai sussurri di una laconica Lady Macbeth in frusciante kimono.
Kurosawa orchestra con grandezza una trama profondamente ancorata al modello scespiriano, che tra oscuri presagi e intrighi di palazzo giunge al grande assedio finale beffardamente architettato dal destino, così imprevedibile nelle sue stravaganti manifestazioni perfino nei circuiti chiusi delle profezie.
Toshirō Mifune è semplicemente divino, anche nelle sue espressioni più forzate e caricaturali.

I cavalieri del Nord Ovest (She wore a yellow ribbon, 1949) di John Ford

Cavalieri delle praterie americane
L'amore che nutro verso i film di John Ford è vasto come la Monument Valley, sconfinato come gli orizzonti rosseggianti dove galoppa lontana una fila serrata di ombre, cappello svolazzante e sciabola sguainata. In questo luminescente She wore a yellow ribbon, secondo della Cavalry Trilogy, Ford porta la sua inarrivabile epica al traguardo del colore, negli sgargianti tramonti magici, surreali dietro al granitico vecchio John Wayne, in divisa blu e bretelle bianche, inginocchiato in un piccolo cimitero tra le mesas. Coi baffi grigi, la rughina che scende dalla fronte, gli occhi illanguiditi dall'età (in realtà invecchiato ad hoc per la pellicola), qui Duke impersona un capitano - cuor di leone, pasta d'uomo - a pochi giorni dalla pensione; il vecchio saggio e coraggioso, pronto a sacrificare sè stesso per la patria e i suoi ragazzi, che trova perfino la soluzione pacifica, con calma senile, ai giovani irruenti tamburi di guerra.
A lui si accompagnano i soliti vecchi compagni di set, l'erculeo e bonario Victor MacLaglen, l'ex primastella George O'Brien, il giovanotto tempestoso John Agar e l'inguantato biondino Harry Carey jr. Il quadro si completa con l'espressiva ed energica Mildred Natwick (Oscar nel '67 con la commedia romantica A piedi nudi nel parco) e l'oca giuliva Joanne Dru.
Vorrei riguardare questi film centinaia e centinaia di volte, fino a impararli a memoria. L'ingresso trionfale di Ford nel mondo del colore è un'estasi visiva (a dire il vero c'era già arrivato con Il texano, ma il dislivello tra le due opere è notevole), le sgroppate delle sue scuderie hanno scolpito la storia del western come forse ahimè i tendini di quei poveri, magnifici cavalli lanciati a razzo giù per i dirupi.

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