giovedì 9 aprile 2015

Inferno, Canto XIV. In direzione ostinata e contraria


Nella grande desolazione di un paesaggio brullo percosso da pioggia ardente di questo quattordicesimo Canto, si staglia con singolare fierezza una sola figura. Dante nota quest' uomo di gran stazza fisica, il quale non nasconde un atteggiamento di sfida: chi è quel grande che non par che curi lo 'ncendio e giace dispettoso e torto, sì che la pioggia non par che 'l marturi? Egli nella sua condizione di anima dannata non può opporre nulla, eppure si rifiuta ostinatamente di piegarsi; si tratta di Capaneo, uno dei Sette Re che assediarono Tebe come riportato nella tragedia di Eschilo, raffigurato magnificamente da una statua bronzea custodita nel museo d'arte moderna a Cremona, opera dello scultore Arturo Ferraroni.
"Qual io fui vivo, tal son morto"; come già si è visto, i dannati conservano notalgie e passioni della loro vita terrena, e Capaneo non è da meno. In vita fu colpito da un fulmine di Giove, ora l'oggetto della sua sfida è divenuto il Dio cristiano. Cercando in rete, ho trovato che nella Tebaide di Stazio gli viene attribuita una frase che dice molto della sua regale sfrontatezza: "Il coraggio è il mio dio".
C'è una nobiltà nell'ostinazione di Capaneo che indubbiamente affascina. Al tempo stesso, Virgilio sembra volerne scalfire l'aurea mitizzante schernendolo: nullo martiro, fuor che la tua rabbia, sarebbe al tuo furor dolor compito, che significa più o meno: "nessuna pena è peggiore della tua stessa rabbia".
Già, l'orgoglio è una brutta bestiaccia. Si presenta come un nobile alleato dell'uomo, ma poi lo affossa e lo fa bollire nella sua stessa rabbia.
Dopo questo incontro Dante e Virgilio proseguono lungo l'argine del sanguinolento Flegetonte, lo cui rossore ancor mi raccapriccia, la cui azione temperante dei vapori si contrappone alla pioggia di fuoco consentendo loro di passare indenni. Qui annoto il singolare sospetto storico su una presunta trascrizione errata di un verso. La versione ufficiale recita Quale del Bulicame esce ruscello che parton poi tra lor le peccatrici, dove il Bulicame è una sorgente termale e le peccatrici sarebbero le prostitute che ci sguazzerebbero dentro. Qualcuno dice invece che il termine corretto sarebbe stato pettatrici, ossia quelle lavoratrici che mettevano a bagno i fasci di canapa per la macerazione. Del resto così mi suonerebbe anche un po' più logico, ma tant'è.
Segue la consueta lectio virgiliana che stavolta verte sull'origine dei fiumi infernali. Nel cuore del monte Ida (ovvero lo Psiloritis, in greco "il più alto"), sull'isola di Creta, c'è la statua di un Vecchio tutto ricoperto d'oro, d'argento, rame e ferro tranne che per il piede destro in terracotta. Si tratta della rappresentazione di una visione onirica avuta da Nabucodonosor, re dei caldei, che fu interpretata dal profeta Daniele. Da questa statua scendono lacrime che vanno a formare lo Stige, l'Acheronte ed il Flegetonte, i quali poi versano sul lago di Cocito.
Dante chiede notizie di un altro fiume mitologico, il Lete, e Virgilio gli assicura che lo vedrà ma non già all'Inferno, bensì là dove vanno l'anime a lavarsi quando la colpa pentuta è rimossa. Presagi di un altro viaggio; ma questa è un'altra storia...

Che cosa ci siam lasciati alle spalle:


Nessun commento:

Posta un commento