martedì 21 aprile 2015

Inferno, Canto XV. Abbi cura del mio tesoro


Poi vi presento e mando
questo ricco Tesoro,
[...]
che lo tegnate caro,
e che ne siate avaro:
ch’i’ ho visto sovente
viltenere a la gente
molto valente cose;
e pietre prezïose
son già cadute i·lloco
che son grandite poco

da Il Tesoretto, di Brunetto Latini


Le nostre cose più preziose, quanto vorremmo che non venissero sciupate dalla dozzinale sciatteria o nell'approssimazione. Ti presto un libro a cui tengo, tu magari non lasciarlo scompaginato tra i calzini del comodino. Ti lascio in custodia mio figlio, tu magari scollati da whatsapp e fai attenzione che non si sbreghi su uno spigolo. Ti confido un segreto, tu magari evita di pubblicarlo su facebook. Cose così. Lo stesso vale beninteso per noi stessi quali recettori di un tesoro altrui; è il rischio dell'approssimazione, come scriveva il matematico spirituale Pavel Florenskij in una commovente lettera ai suoi figli: "Ricordatevi che nell'approssimazione si può perdere tutta la vita, mentre al contrario nel compiere con precisione e al ritmo giusto anche le cose e le questioni di secondaria importanza, si possono scoprire molti aspetti che in seguito potranno essere per voi fonte profondissima di un nuovo atto creativo".
Tornando alla Commedia anche in questo quindicesimo canto c'è in fondo un solo protagonista, ser Brunetto Latini, il quale rappresenta emblematicamente il raffinato uomo di lettere con il "vizietto" dell'omosessualità. Non c'è ovviamente da stupirsi che la medievalità morale di Dante faccia recludere i sodomiti in un girone infernale, c'è però ancora quel guizzo, quella fiammella di pietas in Dante che riesce a far luce pur nella tenebra di una antica condanna religiosa.
Dante e Virgilio camminano sull'argine del Flegetonte, riparati dalla piogga ardente. C'è quindi una certa altezza che li separa dalla schiera d' anime, i quali strigono gli occhi per guardarli (aguzzavan le ciglia come 'l vecchio sartor fa ne la cruna). Dante viene fermato da uno di questi, che lo trattiene per il lembo esclamando: "Qual maraviglia!". Quest'anima ha il volto cotto, come arso e annerito dai fuochi infernali, eppure Dante chinando la mano alla sua faccia (immagine di tenerezza) lo riconosce: "Siete voi qui, ser Brunetto?".
Brunetto Latini è stato maestro di retorica del giovane Dante Alighieri e il profondo rispetto dell'allievo nei confronti del suo vecchio tutore traspare per tutto il canto. Dante accetta ben volentieri di condividere con lui un pezzo di strada, riproponendo quell' antica modalità di scambio culturale che fu la conversazione peripatetica, seppure segnata dal dislivello imposto da una morfologia gnomica. Dante sull'argine, ser Brunetto più sotto; I' non osava scender de la strada per andar par di lui; ma 'l capo chino tenea com'uom che reverente vada.
Il primo consiglio da vecchio maestro a Dante verte sul senso di smarrimento che lo stesso gli manifesta raccontanto brevemente il modo in cui è capitato per questo calle. Brunetto sentenzia: "Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto" e predicendo l'esilio di Dante inizia un discorso politico che ci riporta alla Firenze divisa tra guelfi bianchi e neri, in cui lancia i suoi strali contro i fiorentini, le bestie fiesolane: che s'ammazzino pure, ma senza toccare la pianta in cui rivive la sementa santa del primo antico insediamento romano. Il mito della purezza delle origini.
Va notata una assenza pesante in questa conversazione, un silenzio carico di significato; il loquace Virgilio tace in pudico rispetto. E' un'ombra silenziosa che tacitamente accetta il rimpiazzo momentaneo del povero Brunetto, limitandosi ad una quasi banale sottolineatura di una frase di Brunetto "Bene ascolta chi la nota".
In conclusione del Canto, ser Brunetto chiede a Dante di essere depositario del suo Tesoro, riecheggiando i versi del poemetto sopra citato: "Sìeti raccomandato il mio Tesoro nel qual io vivo ancora, e più non cheggio". La poesia rimane eterna; ha solo bisogno di qualcuno che la raccolga, di qualcuno che se ne prenda cura sfidando il mostro dell' approssimazione.
Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde.

Le tappe precedenti del nostro viaggio:
 

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