venerdì 5 giugno 2015

Inferno, Canto XIX. Lo smaltimento dei papi a candela


Il Canto si apre con una apostrofe, figura retorica mediante la quale il narratore si astrae brevemente dal racconto rivolgendosi a un uditore ideale. "O Simon Mago, o miseri seguaci che le cose di Dio... per oro e per argento avòlterate".
Dante parla dell'avolterio (adulterio) delle cose sacre, che di bontate deon essere spose, una sorta di rievocazione della cacciata dei mercanti dal tempio ad opera di un Gesù particolarmente incazzato.
Dante riprende brevemente il filo dei fatti, fornendoci la collocazione in un verso d' intermezzo con la consueta minuzia geotecnica (ci tiene a precisare che siamo nel punto del ponte cui la perpendicolare cade al centro della fossa), per poi rimetter su il tono apostrofico: O somma sapienza... quanto giusto tua virtù comparte, con un piccolo elogio della legge del contrappasso.
Torniamo quindi a vedere con gli occhi di Dante; il panorama che ci si apre davanti è di roccia scura tutta costellata di buchi, come tante "fonti battesimali". Qui il poeta ci vuole rendere partecipi di un singolare episodio a lui accaduto con una gustosa digressione: pare che un dì, al Battistero di San Giovanni in Firenze, qualcuno (forse un bimbo?) finì dentro un fonte rischiando l'affogamento, e Dante per salvarlo dovette probabilmente rovesciare il battezzatoio rompendolo. Buffa la chiosa con cui si autogiustifica: questo sia suggel ch'ogn'omo sganni: come dire, se qualcuno ve la racconta diversamente non credetegli. Gli avranno chiesto il rimborso dei danni, mi sa.
Ebbene, da questi buchi emergono le gambe scalcianti dei dannati di turno, messi a testa in giù; se non bastasse, hanno pure i piedi infuocati fino al calcagno, come stoppini. Quel che si dice: far la candela...
Tra i capovolti ce n'è uno che scalcia più di tutti, e la cui fiamma ai piedi è la più incandescente; Dante, curioso di sapere di chi si tratta, gli si avvicina e parte con la sua domandina maldestra se non velatamente sarcastica: "...anima trista come pal commessa... se puoi, fa motto".
Dante fa rispondere l'anima (la cui voce sarà risultata attutita più o meno come quella di un meccanico che vi parla con la testa ficcata nel cofano della macchina) con uno stratagemma narrativo già visto in precedenza, lo scambio di persona che diventa quindi una tattica per contestualizzare fatti o personaggi. "Se' tu già costì ritto, se' tu già così ritto Bonifazio?" Inizia così il piatto freddo della vendetta dantesca servito ai danni di Papa Bonifacio VIII, colpevole di aver spalleggiato i guelfi neri a Firenze causando l'esilio del poeta. Come accadde nel Canto XVII per Giovanni de' Buiamonte, ci troviamo davanti alla premonizione di un'anima che nomina un suo futuro compagno di dannazione; in questo caso il vaticinatore capovolto svela la sua identità con un paio di facili indizi.
Primo indizio: fui vestito del gran manto, il manto papale. Secondo indizio: veramente fui figliuol dell'orsa, cioè si tratta di un membro della famiglia Orsini. Ecco agevolmente smascherato Giovanni Gaetano Orsini, al secolo Papa Niccolò III, il quale ci svela il pratico sistema di smaltimento "push and replace" dei papi simoniaci (avidi di denaro) all'Inferno: l'ultimo arrivato viene ficcato nel pozzo spingendo avanti tutti i simoneggianti predecessori, i quali vengono ordinatamente appiattiti sotto di lui. Si spiega forse anche perchè stava aspettando Bonifacio VIII: magari sotto terra si sta più freschi. Il poeta per bocca di Niccolò III non lascia speranze nemmeno al successore Clemente V: dopo lui verrà di più laida opra di ver' ponente, un pastor sanza legge. Non erano buoni tempi per il Vaticano.
A questo punto lo schifato Dante parte con una pungente invettiva: "Deh, or mi dì: quanto tesoro volle nostro Segnore in prima da san Pietro ch'ei ponesse le chiavi in sua balìa?" Quanto ha chiesto Gesù a San Pietro per dargli le chiavi della Chiesa? Domanda retorica molto efficace. Certo non chiese se non: 'Viemmi retro': fu quel semplice 'seguimi' il prezzo pagato da Pietro il galileo.
L'atto di accusa di Dante produce l'effetto di uno scalciare forsennato in Niccolò, o ira o coscienza che 'l mordesse, e lo sguardo gongolante di Virgilio il quale – come un padre orgoglioso del figlioletto dopo la recita scolastica – lo prende perfino in braccio e con l'agilità di una capra di montagna lo porta fino al limitare della Bolgia successiva.

Volgendo lo sguardo indietro:

Canto I:   L'Altro Viaggio
Canto II:  L'impedito nella piaggia diserta
Canto III: Dentro a le segrete cose
Canto IV: Il castello dalle sette mura
Canto V:  Francesca e Paolo
Canto VI: Da Cerbero a Pluto
Canto VII: Paperone, Rockerduck e la rissa ai fanghi termali
Canto VIII: Due bulli sullo Stige 
Canto IX: Coriandoli e marionette
Canto X: Galeotto fu un passato remoto
Canto XI: Tristo fiato e bucce di banana filosofiche
Canto XII: Mistiche frane e mitologiche finestre
Canto XIII: Uomini fummo, e or siam fatti sterpi 
Canto XIV: In direzione ostinata e contraria
Canto XV: Abbi cura del mio tesoro
Canto XVI: A costor si vuole esser cortese
Canto XVII: Hell of a charter
Canto XVIII: Mimesi volgare  

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