mercoledì 15 luglio 2015

Il Simposio di Platone (parte prima)

Parte prima 
Aspettando Socrate


Cos'era il simposio nella Antica Grecia? Semplicemente un banchetto in cui si mangiava e beveva, si acoltava musica, ma soprattutto si teneva conversazione su un argomento scelto dai commensali.
Ebbene ce ne fu uno famoso, nella Atene del V secolo A.C., tenuto dal giovane poeta Agatone, fresco vincitore di una competizione poetica, a cui parteciparono tra gli altri Fedro, Pausania, il commediografo Aristofane, il medico Erissimaco e l' ospite più atteso, il grande Socrate.
Dunque all'epoca Socrate, già apprezzato per la carriera militare, era un divo della filosofia; un tipo assolutamente originale, conteso da ogni convivio, di una intelligenza e un eloquio disarmanti. L'autore Platone ne era rimasto inizialmente folgorato per il cosiddetto "metodo socratico", mediante il quale una trattazione procedeva per definizioni, con persuasione e ironia, partendo dal presupposto dell' ignoranza (non assoluta, come vedremo meglio in seguito...). Come dire: io non ci capisco molto, ma ci provo, pezzo per pezzo, ad arrivare col ragionamento alla comprensione. Inutile dire quanto io senta profondamente mio questo metodo, non per una blanda professione di umiltà, ma perchè partire da zero nelle cose è in qualche modo liberante. Ecco, Socrate era in un certo senso un controintellettuale ante litteram, per cui il sapere contava molto di più che il sapiente.
Torniamo al simposio in casa di Agatone. Argomento della serata: eros.
Già qui saremmo tentati di tirar fuori dagli scaffali quintali di trattati per capire cosa intendiamo quando parliamo di eros. Amore, certamente. Ma quale forma di amore? Voilà il metodo socratico: lo capiremo solo leggendo, partendo da una posizione più vicina all'ignoranza che alla sapienza.

Nella trattazione di questi dialoghi il contesto non è secondario. Conoscere il luogo e il come si collocavano in tale contesto i vari oratori, permette di dare la giusta "temperatura" allo sviluppo del dialogo.
Innanzitutto, la potenza del racconto, primato assoluto e totale dell'arte oratoria. Fin dagli inizi ci troviamo immersi nel tipico meccanismo della voce che gira: "m'ha detto Tizio che gli ha detto Caio il quale ha saputo da Sempronio...". Un ateniese riconosce per strada un tale Apollodoro, e gli chiede di raccontargli del famoso simposio di Agatone a cui partecipò Socrate. Apollodoro risponde che ne è passato di tempo da allora, che poi i fatti lui li ha saputi per via indiretta, da un tal Aristodemo che s'era imbucato alla festa, invitato per strada all'ultimo momento proprio da Socrate in persona.
Siamo di fronte al passaparola di un evento accaduto molto tempo prima, quindi sottoposto all' usura del ricordo nel tempo, passibile di modifiche e aggiunte arbitrarie. L'affidabilità delle fonti non appare come un principio cardine, a maggior gloria della finzione letteraria. In estrema sintesi: è accaduto davvero? Boh. Ma che ci frega.
E poi aggiungerei il senso di ineluttabile inferiorità degli intervenuti rispetto a colui che chiuderà la scaletta, il grande Socrate, la cui entrata in scena a banchetto inoltrato sembra calibrata per conferire il giusto effetto. Ciascuno (lettore compreso) è ben conscio che per quanto ogni invitato possa ben esporre l'argomento, l'intervento di Socrate sarà quello definitivo e seppellirà quanto detto prima. In linea teorica il vantaggio dell' ultimo vale pure in un talk show, ma qui non è una mera questione di ordine, qui siamo di fronte a un crescendo narrativo il cui climax viene rappresentato appunto dal discorso conclusivo. 
A dirla tutta, a chiudere il racconto vi sarà un singolare "strappo al sipario", un'appendice bizzarra e interessante rappresentata dalla irruzione quasi inopportuna dell'ubriaco facondo Alcibiade. Ma questo lo considereremo a tempo debito, ora procediamo col tema principale del simposio.

Il primo ad comporre il suo elogio a Eros è Fedro. Fedro chi? Direte voi. Un tizio greco di Mirrinunte conosciuto da Socrate; direi che come cenno biografico può anche bastare, non si tratta di un personaggio memorabile (da non confondersi ovviamente con l'omonimo autore latino di favole).
Sappiamo per bocca di un altro commensale, il medico Erissimaco, che Fedro è l'ideatore putativo della conversazione, in quanto un giorno si lamentò del fatto che a un dio potente come Eros mancasse degno elogio. Per onorare questa paternità del soggetto, Fedro viene invitato ad aprire le danze; egli esordisce chiamando a sostegno della sua tesi l'antichità, citando la Teogonia del poeta Esiodo (una sorta di Genesi del mondo classico), per cui Eros nacque insieme alla Terra dal Caos originale. E' questa atavicità dell'eros a rendere i legami che intesse tra gli uomini così forti e unici; il legame tra amanti è superiore ai legami famigliari e di amicizia. Morire per l'altro: soltanto gli amanti accettano questo, sostiene Fedro. Riporta a proposito la sorte di Achille, al quale era stata vaticinata la salvezza se avesse desistito dall'uccidere Ettore, ma egli andò incontro al suo destino per vendicare l'amato Patroclo. Per Fedro insomma Eros "ha maggior titolo per guidare l'uomo sulla via della virtù e della felicità, sia in vita che nell'aldilà".

Dopo Fedro intervennero altri personaggi che il relatore di secondo grado Aristodemo non ritenne di dover menzionare, per giungere all'elogio di Pausania. Pausania chi? Direte voi. Un Pausania, non il famoso geografo. Questi, senza troppi fronzoli, smorza l'intervento precedente e anzi mina perfino le fondamenta dell'argomento stesso. Basilarmente sbagliato, secondo Pausania, fare l'elogio di Eros inteso "al singolare", in quanto ne esistono due, correlati alle altrettante dee dell'amore: Afrodite Urania (figlia di Urano, che non ha madre) e Afrodite Pandemia (figlia di Zeus e Dione). La differenza è sostanziale; Afrodite Pandemia, più giovane, punta all'amore occasionale e meramente corporeo (per Pausania piuttosto tipico delle unioni eterosessuali), mentre Urania, scegliendo solo la dolce compagnia maschile, ne cerca forza e intelligenza. Pur essendo smaccatamente propenso all'omosessualità, Pausania ammette tuttavia che il cosiddetto amore "volgare" è trasversale, in quanto non vi è una condizione bella o brutta, ma belle o brutte sono le azioni che contraddistinguono tale unione. Ciò che conta è amare l'anima dell'altro, non il corpo o il suo denaro: nell'amore insomma conta la virtù.

Avanti il prossimo! E qui si verifica un fatto curioso: toccherebbe ad Aristofane, celebre (lui sì) commediografo, ma questi viene sopraffatto da un improvviso singhiozzo e si trova costretto a passare il turno a Erissimaco. Un piccolo episodio talmente buffo nella sua semplicità che mi ha spinto a battezzare questa mia personale esplorazione del mondo greco antico proprio "Il singhiozzo di Aristofane". Non so, lo trovo esilarante e tremendamente vero: la vita è tutta vanitas vanitatum e non andrebbe presa troppo sul serio, i nostri migliori pensieri possono essere interrotti da un momento all'altro da un banalissimo singhiozzo.

E dunque la palla passa al giovane dottor Erissimaco, figlio uno stimato medico ateniese, il quale per deformazione professionale prima di iniziare lancia un tris di antichissimi consigli per far smettere il singhiozzo: trattieni il respiro, fai gargarismi con l'acqua o solletica il naso per starnutire (a dire il vero questo ultimo espediente non lo conoscevo).
Anche Erissimaco parte confutando la tesi precedente. Pur lodando la distinzione tra due tipi d'amore espressa da Pausania, il medico estende il campo a tutta la natura, piante e animali compresi, indirizzando piuttosto la dicotomia su ciò che è sano e ciò che è malato. In questo senso per Erissimaco la medicina rappresenta una disciplina d'amore per il proprio corpo, ove è necessario amare le cose sane e detestare ciò che danneggia, e in cui è altresì compito del medico riconciliare i rapporti d'amore tra gli organi di un corpo che han preso a odiarsi. Tutto concorre all'armonizzazione di due estremi opposti (caldo e freddo, amaro e dolce, etc), non in una impossibile conciliazione ma nel risultato di una consonanza: ad esempio, grave e acuto si incontrano nella lira e nell'arco per produrre la musica (cita Eraclito). Così, come le stagioni fredde e quelle calde convivono nell'arco di un anno, il piacere dell'Eros Pandemio e la bellezza dell'Eros Uranio dovrebbero raggiungere in una vita il giusto equilibrio. Per Erissimaco comunque è Eros stesso ad agire, con moderazione e giustizia, disciplinando tanti gli uomini che gli dei.

Dal medico al comico, attraverso un rimedio (rivelatosi efficace) per il singhiozzo, e giungiamo al famoso Aristofane. Per l'illustre commediografo di rane, nuvole e uccelli, Eros è principalmente un amico degli uomini, anche se piuttosto trascurato da questi che non ne sanno riconoscere la grandezza.
Parte da lontano, Aristofane, affermando che all'inizio le creature umane non erano come le conosciamo oggi ma erano sferiche, con quattro braccia, quattro gambe, due visi e due sessi. Per correre facevano rapide ruote come gli acrobati, avvalendosi di tutti gli arti. Erano di tre generi: maschio, femmina o ermafrodito (entrambi i sessi nello stesso essere).
Queste creature non risultarono particolarmente gradite al collerico Zeus, il quale decise di tagliarle tutte a metà, lasciandole in precario equilibrio su due piedi. Disperate, le metà cercavano di ricongiungersi con l'altra metà; dalla scissione degli ermafroditi, la metà uomo andava cercando la metà donna e viceversa, mentre dalle scissioni maschio-maschio e femmina-femmina ebbe origine l'omosessualità.
Noi formiamo un tutto; il desiderio di questo tutto e la sua ricerca si chiama amore. Eros dunque è amichevole in quanto viene incontro alla nostra naturale infelicità, a quella "nostalgia dell' unità perduta" (cito Giovanni Reale), e promettendo di guarire la nostra ferita fa incrociare i nostri sentieri con quelli della nostra perfetta metà.

Dopo alcuni scambi di battute tra i commensali, è il turno di Agatone il quale dichiara di voler riportare il discorso sui propositi iniziali: si doveva fare un elogio di Eros, rammenta il giovane poeta, invece ci siamo ridotti a parlare della felicità degli uomini.
Confutando Fedro, afferma che Eros non è affatto il più antico ma il più giovane tra gli dei. Prova ne sarebbe il fatto che egli rifugge la vecchiaia e resta solo in compagnia della giovinezza. Agatone dipinge l'elegia di un Eros felice, giovane, delicato, giusto, temperante: è quel dio che dà "la pace agli uomini, la calma al mare, la tregua ai venti, il riposo al dolore".
Tutti applaudono per questa aulica e sentita "offerta al dio" da parte del giovane poeta.
Ma è chiaro a tutti che ora Socrate, col suo intervento, non farà prigionieri.

(fine prima parte

→Vai alla seconda parte

Nessun commento:

Posta un commento