Parte prima
Aspettando Socrate
Cos'era
il simposio nella Antica Grecia? Semplicemente un banchetto in cui si
mangiava e beveva, si acoltava musica, ma soprattutto si teneva
conversazione su un argomento scelto dai commensali.
Ebbene
ce ne fu uno famoso, nella Atene del V secolo A.C., tenuto dal
giovane poeta Agatone, fresco vincitore di una competizione poetica,
a cui parteciparono tra gli altri Fedro, Pausania, il commediografo
Aristofane, il medico Erissimaco e l' ospite più atteso, il grande
Socrate.
Dunque
all'epoca Socrate, già apprezzato per la carriera militare, era un
divo della filosofia; un tipo assolutamente originale, conteso da
ogni convivio, di una intelligenza e un eloquio disarmanti. L'autore
Platone ne era rimasto inizialmente folgorato per il cosiddetto
"metodo socratico", mediante il quale una trattazione
procedeva per definizioni, con persuasione e ironia, partendo dal
presupposto dell' ignoranza (non assoluta, come vedremo meglio in
seguito...). Come dire: io non ci capisco molto, ma ci provo, pezzo
per pezzo, ad arrivare col ragionamento alla comprensione. Inutile
dire quanto io senta profondamente mio questo metodo, non per
una blanda professione di umiltà, ma perchè partire da zero nelle
cose è in qualche modo liberante. Ecco, Socrate era in un certo
senso un controintellettuale ante
litteram, per cui il sapere contava molto di più che
il sapiente.
Torniamo
al simposio in casa di Agatone. Argomento della serata: eros.
Già
qui saremmo tentati di tirar fuori dagli scaffali quintali di
trattati per capire cosa intendiamo quando parliamo di eros.
Amore, certamente. Ma quale forma di amore? Voilà il metodo
socratico: lo capiremo solo leggendo, partendo da una posizione
più vicina all'ignoranza che alla sapienza.
Nella
trattazione di questi dialoghi il contesto non è secondario.
Conoscere il luogo e il come si collocavano in tale contesto i vari
oratori, permette di dare la giusta "temperatura" allo
sviluppo del dialogo.
Innanzitutto,
la potenza del racconto, primato assoluto e totale dell'arte
oratoria. Fin dagli inizi ci troviamo immersi nel tipico meccanismo
della voce che gira: "m'ha detto Tizio che gli
ha detto Caio il quale ha saputo da
Sempronio...". Un ateniese riconosce per
strada un tale Apollodoro, e gli chiede di raccontargli del famoso
simposio di Agatone a cui partecipò Socrate. Apollodoro risponde che
ne è passato di tempo da allora, che poi i fatti lui li ha saputi
per via indiretta, da un tal Aristodemo che s'era imbucato alla
festa, invitato per strada all'ultimo momento proprio da Socrate in
persona.
Siamo
di fronte al passaparola di un evento accaduto molto tempo prima,
quindi sottoposto all' usura del ricordo nel tempo, passibile di
modifiche e aggiunte arbitrarie. L'affidabilità delle fonti non
appare come un principio cardine, a maggior gloria della finzione
letteraria. In estrema sintesi: è accaduto davvero? Boh. Ma che ci
frega.
E
poi aggiungerei il senso di ineluttabile inferiorità degli
intervenuti rispetto a colui che chiuderà la scaletta, il grande
Socrate, la cui entrata in scena a banchetto inoltrato sembra
calibrata per conferire il giusto effetto. Ciascuno (lettore
compreso) è ben conscio che per quanto ogni invitato possa ben
esporre l'argomento, l'intervento di Socrate sarà quello
definitivo e seppellirà quanto detto prima. In linea teorica il
vantaggio dell' ultimo vale pure in un talk show, ma qui non è una
mera questione di ordine, qui siamo di fronte a un crescendo
narrativo il cui climax viene rappresentato appunto dal discorso
conclusivo.
A dirla tutta, a chiudere il racconto vi sarà un singolare "strappo al sipario", un'appendice bizzarra e interessante rappresentata dalla irruzione quasi inopportuna dell'ubriaco facondo Alcibiade. Ma questo lo considereremo a tempo debito, ora procediamo col tema principale del simposio.
A dirla tutta, a chiudere il racconto vi sarà un singolare "strappo al sipario", un'appendice bizzarra e interessante rappresentata dalla irruzione quasi inopportuna dell'ubriaco facondo Alcibiade. Ma questo lo considereremo a tempo debito, ora procediamo col tema principale del simposio.
Il
primo ad comporre il suo elogio a Eros è Fedro. Fedro chi?
Direte voi. Un tizio greco di Mirrinunte conosciuto da Socrate; direi
che come cenno biografico può anche bastare, non si tratta di un
personaggio memorabile (da non confondersi ovviamente con l'omonimo
autore latino di favole).
Sappiamo
per bocca di un altro commensale, il medico Erissimaco, che Fedro è
l'ideatore putativo della conversazione, in quanto un giorno si
lamentò del fatto che a un dio potente come Eros mancasse degno
elogio. Per onorare questa paternità del soggetto, Fedro viene
invitato ad aprire le danze; egli esordisce chiamando a sostegno
della sua tesi l'antichità,
citando la Teogonia del poeta Esiodo (una sorta di Genesi del mondo
classico), per cui Eros nacque
insieme alla Terra
dal Caos originale.
E' questa atavicità
dell'eros a rendere i legami che intesse tra gli uomini così forti e
unici; il
legame tra amanti è
superiore ai legami famigliari e di amicizia.
Morire per l'altro:
soltanto gli amanti accettano questo, sostiene Fedro. Riporta
a proposito la sorte di Achille, al quale era stata vaticinata la
salvezza se avesse desistito dall'uccidere Ettore, ma egli andò
incontro al suo destino per vendicare l'amato Patroclo. Per Fedro
insomma Eros "ha maggior titolo per guidare l'uomo sulla via
della virtù e della
felicità, sia in vita che nell'aldilà".
Dopo
Fedro intervennero altri personaggi
che il relatore di
secondo grado Aristodemo non
ritenne di dover menzionare, per giungere all'elogio di Pausania.
Pausania chi? Direte
voi. Un
Pausania, non il famoso geografo. Questi,
senza troppi fronzoli, smorza
l'intervento precedente e anzi mina perfino le fondamenta
dell'argomento stesso. Basilarmente sbagliato, secondo
Pausania, fare l'elogio di
Eros inteso
"al singolare",
in quanto ne esistono due,
correlati alle
altrettante dee
dell'amore: Afrodite Urania (figlia di Urano, che
non ha madre) e Afrodite
Pandemia (figlia di Zeus e
Dione). La
differenza è sostanziale; Afrodite Pandemia, più giovane, punta
all'amore occasionale e meramente corporeo (per
Pausania piuttosto tipico delle unioni eterosessuali),
mentre Urania, scegliendo
solo la dolce
compagnia maschile, ne cerca
forza e intelligenza. Pur
essendo smaccatamente propenso all'omosessualità, Pausania ammette
tuttavia che
il cosiddetto amore "volgare"
è trasversale, in quanto non vi è una condizione bella o brutta, ma
belle o brutte sono le azioni che contraddistinguono tale
unione. Ciò che conta è
amare l'anima dell'altro, non il corpo o il suo denaro: nell'amore
insomma
conta la virtù.
Avanti
il prossimo! E qui
si verifica un
fatto curioso: toccherebbe ad
Aristofane, celebre (lui sì)
commediografo, ma questi viene sopraffatto
da un improvviso singhiozzo e si trova costretto a passare il turno a
Erissimaco. Un piccolo episodio talmente buffo nella sua semplicità
che mi ha spinto a battezzare questa mia personale esplorazione del
mondo greco antico proprio "Il singhiozzo di Aristofane".
Non so, lo trovo esilarante e tremendamente vero: la vita è tutta
vanitas vanitatum e
non andrebbe presa troppo sul serio, i nostri migliori pensieri
possono essere interrotti da un momento all'altro da un banalissimo
singhiozzo.
E
dunque la palla passa al giovane
dottor Erissimaco,
figlio uno
stimato medico ateniese,
il quale
per deformazione professionale prima
di iniziare lancia un tris di
antichissimi consigli per far smettere il singhiozzo: trattieni il
respiro, fai gargarismi con l'acqua o solletica il naso per
starnutire (a dire il vero questo ultimo espediente non lo
conoscevo).
Anche
Erissimaco parte confutando
la tesi precedente. Pur lodando la distinzione tra due tipi d'amore
espressa da Pausania, il medico estende il campo a tutta la natura,
piante e animali compresi, indirizzando piuttosto la dicotomia su ciò
che è sano e ciò che
è malato. In
questo senso per Erissimaco la medicina rappresenta una disciplina
d'amore per il proprio corpo, ove è necessario amare le cose sane e
detestare ciò che danneggia, e in
cui è altresì compito
del medico riconciliare i rapporti d'amore tra gli organi di un corpo
che han preso a odiarsi. Tutto concorre all'armonizzazione
di due estremi opposti (caldo e freddo, amaro e dolce, etc), non in
una impossibile conciliazione ma nel risultato di una consonanza: ad
esempio, grave e acuto si incontrano nella lira e nell'arco per
produrre la musica (cita Eraclito). Così, come le stagioni fredde e
quelle calde convivono nell'arco di un anno, il piacere dell'Eros
Pandemio e la bellezza dell'Eros Uranio dovrebbero raggiungere in
una vita il giusto
equilibrio. Per Erissimaco comunque è Eros stesso ad agire, con
moderazione e giustizia,
disciplinando tanti gli
uomini che gli dei.
Dal
medico al comico, attraverso un rimedio (rivelatosi
efficace) per il singhiozzo,
e giungiamo al famoso Aristofane.
Per l'illustre commediografo di rane, nuvole e uccelli, Eros è
principalmente un amico degli uomini, anche se piuttosto trascurato
da questi che non ne sanno
riconoscere
la grandezza.
Parte
da lontano, Aristofane, affermando che all'inizio le creature umane
non erano come le conosciamo oggi ma erano sferiche, con quattro
braccia, quattro gambe, due visi e due sessi. Per correre facevano
rapide ruote come gli acrobati, avvalendosi di tutti gli arti. Erano
di tre generi: maschio,
femmina o
ermafrodito (entrambi i sessi nello stesso essere).
Queste
creature non risultarono particolarmente gradite al collerico Zeus,
il quale decise di tagliarle tutte a metà,
lasciandole in precario equilibrio su due piedi. Disperate, le metà
cercavano di ricongiungersi con l'altra metà; dalla scissione degli
ermafroditi, la metà uomo andava
cercando
la metà donna e viceversa, mentre dalle scissioni maschio-maschio e
femmina-femmina ebbe origine l'omosessualità.
Noi
formiamo un tutto; il desiderio di questo tutto e la sua ricerca si
chiama amore. Eros dunque è amichevole in quanto viene incontro alla
nostra naturale infelicità, a quella "nostalgia dell' unità
perduta" (cito Giovanni Reale), e promettendo di guarire la
nostra ferita fa incrociare i nostri sentieri con quelli della nostra
perfetta metà.
Dopo
alcuni scambi di battute tra i commensali, è
il turno di Agatone
il quale dichiara di voler
riportare il discorso sui
propositi iniziali:
si
doveva fare un elogio di Eros, rammenta
il giovane poeta, invece
ci siamo ridotti a parlare della felicità degli uomini.
Confutando
Fedro, afferma che Eros non è affatto il più antico ma il più
giovane tra gli dei. Prova ne sarebbe il fatto che egli rifugge la
vecchiaia e resta solo in compagnia della giovinezza. Agatone dipinge
l'elegia di un Eros felice, giovane, delicato, giusto, temperante: è
quel dio che dà "la pace agli uomini, la calma al mare, la
tregua ai venti, il riposo al dolore".
Tutti applaudono per questa aulica e sentita "offerta al dio" da parte del giovane poeta.
Ma è chiaro a tutti che ora Socrate, col suo intervento, non farà prigionieri.
Tutti applaudono per questa aulica e sentita "offerta al dio" da parte del giovane poeta.
Ma è chiaro a tutti che ora Socrate, col suo intervento, non farà prigionieri.
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