Parte terza
L'elogio a Socrate
[segue dalla Parte seconda]
C'è
un gran trambusto alla porta di Agatone; il simposiarca manda a
vedere chi sono i visitatori, raccomandandosi di farli entrare solo
se si tratta di amici.
Entra
in sala Alcibiade, ubriaco fradicio e sorretto dai compagni, con il
capo ornato di nastri e con una corona di edera e viole. L'allegra
irruzione rompe l'atmosfera dialogante e posata, mettendo in primo
piano l'umanità nella sua manifestazione più buffonesca; iniziano
alcune schermaglie ironiche tra il dionisiaco ospite, Agatone e
Socrate, mettendo in luce la liaison intellettuale ed erotica
tra i tre uomini del simposio.
Eros
sembra tornare ad essere quello che è; sceso dalla teoria delle
orazioni simposiche, si incarna in una reale storia d'amore con tutti
i suoi aspetti grotteschi, comici, drammatici.
Alcibiade
infatti non continuerà nella sequela degli elogi a Eros, ma dietro
suggerimento di Erissimaco intraprenderà un personale elogio
dell'amato Socrate raccontando la difficile opera di seduzione nei
confronti dell'inaccessibile filosofo.
Ma
prima di tutto, Alcibiade invita tutti a riprendere le coppe in mano.
I dialoganti si erano infatti autoimposti di non eccedere nelle
libagioni, perchè ne giovasse la lucidità; Alcibiade invece vuole
infrangere questo limite, seppur consapevole che "con Socrate
non c'è niente da fare: quanto vorrà bere berrà, e non ci sarà
verso di farlo ubriacare".
L'elogio
di Socrate inizia con un paragone: egli è come quelle statuette dei
sileni (figure mitologiche che popolano i boschi, lascivi come i
satiri) che si vendono nelle botteghe, che se le apri celano
all'interno l' immagine di un dio. Egli incanta tutti, come il mitico
satiro Marsia sapeva fare col suo flauto, ma lo fa senza bisogno di
strumenti, solo con le parole. "Quando ascoltiamo un altro
oratore, il suo discorso non interessa quasi a nessuno"; con
questa frase Alcibiade riassume bene quanto abbiamo detto poc'anzi a
proposito dell'intervento definitivo di Socrate rispetto a
quelli che lo precedevano. Si salva solo chi cita Socrate,
elevando il suo intervento al punto di far battere i cuori. Le
parole di Socrate hanno una incredibile portata emotiva, fanno
sentire a un'anima "il peso della schiavitù", fanno
sentire in un tale stato "da rendere impossibile tornare a una
vita normale". Socrate con i suoi discorsi mi obbliga a
riconoscere i miei limiti. Fa riflettere questa ammissione di
Alcibiade, messagli in bocca da Platone: Socrate è l'unico davanti
al quale provo vergogna, ci sono momenti in cui non vorrei più
vederlo al mondo anche se so che poi mi mancherebbe moltissimo. Trovo
eccezionale in questo senso il parallelo con il Cristo; una parola
che brucia, che divide, che turba al punto da volerlo togliere di
mezzo. Croce e cicuta.
Alcibiade
torna sull'aspetto a prima vista satiresco di Socrate; egli ronza
sempre attorno ai bei ragazzi, ed esternamente pare proprio come quei
sileni, sembra ignorare serenamente tutto. Ma dentro cela la
saggezza. Lo stesso Alcibiade pensò un tempo di aver "arpionato"
il filosofo con la sua bellezza, si cullava in questa idea; una sera,
allontanata la servitù per restare da solo con Socrate, provò a
blandirlo ma senza risultato. Ci provò ancora la sera successiva,
decidendo che la soluzione era quella di dichiarandosi apertamente.
La flemma di Socrate quasi lo irretiva; ma provò ben presto il morso
più doloroso, quello inflitto al cuore. Quella notte gli disse che
con lui si sentiva una persona migliore, e voleva esserne
l'innamorato. Il filosofo rispose che si illudeva di scambiare bronzo
con l'oro, perchè quella bellezza reale che egli intravedeva in
Socrate gli era ancora preclusa per via della sua giovane età,
giacchè solo "quando gli occhi cominciano a veder meno lo
sguardo della mente si fa più penetrante". Nonostante quella
notte condividessero il mantello, ogni assalto erotico nei suoi
confronti fu insomma vano, tale che ad Alcibiade sembrò di giacere
accanto a un padre o a un fratello.
Continuando
nel suo elogio, Alcibiade narra i fatti accaduti durante la battaglia
di Potidea. Socrate e Alcibiade erano compagni di guarnigione; il
filosofo era famoso in tutto il campo tra i soldati per la sua
incredibile insensibilità alla fame e al freddo, oltre che per i
suoi lunghi momenti di totale straniamento, quando se ne stava in
piedi a pensare per ore e ore. Durante un assalto nemico, Alcibiade
cadde ferito e Socrate lo soccorse. Quando i generali premiarono
Alcibiade per eroismo egli raccontò questo episodio, ma essi
ritennero di premiare comunque il giovane guerriero e non il
filosofo. In altre occasioni Alcibiade notò l'intraprendenza di
Socrate in campo di battaglia.
Ebbene,
tutto questo elogio non servì a smuovere Socrate, il quale smaschera
con ironia il vero intento di Alcibiade; insinuarsi tra lui e il
giovane Agatone.
Tutto
finisce nel baccano di una ulteriore allegra brigata accorsa al
convivio; tra brindisi e conversazioni, qualcuno dormicchia finchè
il sipario lentamente cala.
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