martedì 28 luglio 2015

Il Simposio di Platone (parte terza)

Parte terza
L'elogio a Socrate
[segue dalla Parte seconda]  

C'è un gran trambusto alla porta di Agatone; il simposiarca manda a vedere chi sono i visitatori, raccomandandosi di farli entrare solo se si tratta di amici.
Entra in sala Alcibiade, ubriaco fradicio e sorretto dai compagni, con il capo ornato di nastri e con una corona di edera e viole. L'allegra irruzione rompe l'atmosfera dialogante e posata, mettendo in primo piano l'umanità nella sua manifestazione più buffonesca; iniziano alcune schermaglie ironiche tra il dionisiaco ospite, Agatone e Socrate, mettendo in luce la liaison intellettuale ed erotica tra i tre uomini del simposio.
Eros sembra tornare ad essere quello che è; sceso dalla teoria delle orazioni simposiche, si incarna in una reale storia d'amore con tutti i suoi aspetti grotteschi, comici, drammatici.
Alcibiade infatti non continuerà nella sequela degli elogi a Eros, ma dietro suggerimento di Erissimaco intraprenderà un personale elogio dell'amato Socrate raccontando la difficile opera di seduzione nei confronti dell'inaccessibile filosofo.
Ma prima di tutto, Alcibiade invita tutti a riprendere le coppe in mano. I dialoganti si erano infatti autoimposti di non eccedere nelle libagioni, perchè ne giovasse la lucidità; Alcibiade invece vuole infrangere questo limite, seppur consapevole che "con Socrate non c'è niente da fare: quanto vorrà bere berrà, e non ci sarà verso di farlo ubriacare".
L'elogio di Socrate inizia con un paragone: egli è come quelle statuette dei sileni (figure mitologiche che popolano i boschi, lascivi come i satiri) che si vendono nelle botteghe, che se le apri celano all'interno l' immagine di un dio. Egli incanta tutti, come il mitico satiro Marsia sapeva fare col suo flauto, ma lo fa senza bisogno di strumenti, solo con le parole. "Quando ascoltiamo un altro oratore, il suo discorso non interessa quasi a nessuno"; con questa frase Alcibiade riassume bene quanto abbiamo detto poc'anzi a proposito dell'intervento definitivo di Socrate rispetto a quelli che lo precedevano. Si salva solo chi cita Socrate, elevando il suo intervento al punto di far battere i cuori. Le parole di Socrate hanno una incredibile portata emotiva, fanno sentire a un'anima "il peso della schiavitù", fanno sentire in un tale stato "da rendere impossibile tornare a una vita normale". Socrate con i suoi discorsi mi obbliga a riconoscere i miei limiti. Fa riflettere questa ammissione di Alcibiade, messagli in bocca da Platone: Socrate è l'unico davanti al quale provo vergogna, ci sono momenti in cui non vorrei più vederlo al mondo anche se so che poi mi mancherebbe moltissimo. Trovo eccezionale in questo senso il parallelo con il Cristo; una parola che brucia, che divide, che turba al punto da volerlo togliere di mezzo. Croce e cicuta.
Alcibiade torna sull'aspetto a prima vista satiresco di Socrate; egli ronza sempre attorno ai bei ragazzi, ed esternamente pare proprio come quei sileni, sembra ignorare serenamente tutto. Ma dentro cela la saggezza. Lo stesso Alcibiade pensò un tempo di aver "arpionato" il filosofo con la sua bellezza, si cullava in questa idea; una sera, allontanata la servitù per restare da solo con Socrate, provò a blandirlo ma senza risultato. Ci provò ancora la sera successiva, decidendo che la soluzione era quella di dichiarandosi apertamente. La flemma di Socrate quasi lo irretiva; ma provò ben presto il morso più doloroso, quello inflitto al cuore. Quella notte gli disse che con lui si sentiva una persona migliore, e voleva esserne l'innamorato. Il filosofo rispose che si illudeva di scambiare bronzo con l'oro, perchè quella bellezza reale che egli intravedeva in Socrate gli era ancora preclusa per via della sua giovane età, giacchè solo "quando gli occhi cominciano a veder meno lo sguardo della mente si fa più penetrante". Nonostante quella notte condividessero il mantello, ogni assalto erotico nei suoi confronti fu insomma vano, tale che ad Alcibiade sembrò di giacere accanto a un padre o a un fratello.
Continuando nel suo elogio, Alcibiade narra i fatti accaduti durante la battaglia di Potidea. Socrate e Alcibiade erano compagni di guarnigione; il filosofo era famoso in tutto il campo tra i soldati per la sua incredibile insensibilità alla fame e al freddo, oltre che per i suoi lunghi momenti di totale straniamento, quando se ne stava in piedi a pensare per ore e ore. Durante un assalto nemico, Alcibiade cadde ferito e Socrate lo soccorse. Quando i generali premiarono Alcibiade per eroismo egli raccontò questo episodio, ma essi ritennero di premiare comunque il giovane guerriero e non il filosofo. In altre occasioni Alcibiade notò l'intraprendenza di Socrate in campo di battaglia.
Ebbene, tutto questo elogio non servì a smuovere Socrate, il quale smaschera con ironia il vero intento di Alcibiade; insinuarsi tra lui e il giovane Agatone.
Tutto finisce nel baccano di una ulteriore allegra brigata accorsa al convivio; tra brindisi e conversazioni, qualcuno dormicchia finchè il sipario lentamente cala.


 

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