Eccomi tornato, dopo la pausa estiva, a passeggiare tra le vampe
incandescenti dell’inferno dantesco. Ancora un Canto dal mood piuttosto comico, con chiusura allegramente sguaiata.
Siamo dunque giunti sopra il ponte che conduce all’VIII Cerchio e Dante indica
il punto da cui osserverà la scena: tenevamo
il colmo, siamo cioè nel punto più alto dell’arcata. Minuzia che avevo già notato
nel Canto XIX (in quell’occasione si era in
quella parte ch’a punto sovra mezzo ‘l fosso piomba). Da questa postazione osserva
il mare di pece bollente sottostante che
‘nviscava la ripa d’ogne parte, vedendo le ampie bolle scure gonfiarsi e
scoppiare. Virgilio attira la sua attenzione e gli indica un diavolaccio nero
venire su per il ponte, con un peccatore caricato sulla spalla come un sacco di
patate. La bestiaccia alata dà una voce ai diavoli di sotto, i cosiddetti
Malebranche, annunciando loro di aver portato un de li anzian di Santa Zita, eponimo della città di Lucca, che
come ogni bravo lucchese che si rispetti è un barattiere (giocatore d’azzardo).
In questa diabolica generalizzazione spicca la precisazione fuor che Bonturo (Bonturo Dati, politico
lucchese contemporaneo a Dante) che sembrerebbe a prima vista salvarne almeno
uno dal mucchio; in realtà si tratta di una espressione ironica, dal momento
che Bonturo Dati era noto a tutti come il boss dei barattieri, praticamente un
“King of Las Vegas” con sigaro, occhiali da sole e camicia hawaiana.
Il diavolo nero scaraventa il dannato nella pece, che dopo il tuffo riemerge
tutto imbrattato; a quel punto i diavoli di guardia lo rimbrottano: “Qui non ha loco il Santo Volto, qui si nuota
altrimenti che nel Serchio”, e lo rificcano sotto intimandogli di non
tornare più su. Dante dipinge la scena paragonando i terribili Malebranche agli
sguatteri delle cucine che fanno
attuffare in mezzo la caldaia la carne con li uncin, perché non galli.
Vista la scenetta horror, lo buon
maestro suggerisce a Dante di rintanarsi dietro a uno scheggio di roccia affinché egli vada solo ad avviare le infernali
trattative con sicura fronte, come
già gli avevamo visto fare alle porte di Dite.
I diavoli gli si avventano subito contro con quel furore e con quella tempesta dei cani ringhiosi, ma
Virgilio, con l’accortezza tipica dell’agente FBI finito nel covo dei malavitosi,
chiede di parlare direttamente con il loro capo. Si fa avanti Malacoda, a cui Virgilio
fa capire in poche parole il mandato divino: “Credi tu Malacoda qui vedermi esser venuto,.. sanza voler divino e fato
destro?”
Visto il salvacondotto dell’agente…pardon, del poeta latino, a Malacoda allor li fu l’orgoglio sì caduto ch’è si
lasciò cascar l’uncino a piedi. A questo punto Virgilio molla un fischio al
compare: “Oh tutto a posto puoi uscire!”. Uscito rapidamente dal suo
nascondiglio, Dante vede avvicinarsi i brutti ceffi e teme che essi non
rispettino il patto di non aggressione, proprio come temettero quei pisani
sconfitti, patteggiati di Caprona, che
uscirono dalla loro roccaforte sventolando bandiera bianca in mezzo alle file
nemiche.
Scorgendo l’occhio un po’ conigliesco del povero Dante, quelli cominciano a
fare i bulli: “Che faccio lo uncino?” “Sì, dagli un bel colpo”. Malacoda placa
i bollenti spiriti “Posa, posa
Scarmiglione” e riferisce ai due
viandanti che poco più avanti il ponte è crollato e devono proseguire lungo l’argine
del fiume. E tanto per dare una esatta riprova dei problemi dell’edilizia
infernale, specifica che il ponte giace crollato da 1266 anni, che uno poi si
chiede ma a chi mai avranno appaltato, ma che pure all’inferno si fanno tangenti
e appalti truccati?
Per accompagnare i due, Malacoda annuncia la sua diabolica formazione: Alichino,
Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia (capitano), Libicocco, Draghignazzo,
Ciriatto, Graffiacane, Farfarello e Rubicante (detto anche il pazzo, forse perché
è troppo falloso).
Dante suggerisce tremante a Virgilio se non fosse il caso di procedere da
soli, visto che l’allegra brigata non fa altro che digrignare i denti e con le ciglia minaccian duoli. Ma
Virgilio, sicuro di sé come al solito, rassicura il suo compagno di viaggio.
Tranquillo a Da’: so’ bravi ragazzi.
In chiusura di Canto, capolavoro dantesco di quella che ho già battezzato
la sua ‘mimesi volgare’. Capitan Barbariccia, guida della combriccola
diabolica, dà l’inequivocabile segnale di partenza: tutti volgono a lui lo
sguardo con la linguaccia stretta tra i denti, e in tutta risposta elli avea del cul fatto trombetta.
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