lunedì 12 ottobre 2015

Inferno, Canto XXIII. Skating Virgilio


E come l’un pensier de l’altro scoppia. Con questa bella immagine (mi vengono in mente le bolle di sapone) Dante ci mostra per un attimo il flusso dei suoi pensieri disarticolato, non sempre rigorosamente logico. Ripensando infatti all’episodio dei Malebranche che si azzuffano sopra la pece, gli viene in mente la favola di Esopo del topolino e della rana: per attraversare uno stagno un topo chiese aiuto a una rana la quale lo assicurò con una corda a sé, ma poi in un raptus se lo trascinò sott’acqua per farlo affogare; il dimenarsi del topo richiamò l’attenzione di un nibbio, il quale gettatosi sulla preda artigliò topo e rana. Non c’è grande aderenza tra i due episodi, somiglianti come ‘mo’ e ‘issa’ (diversi termini dialettali per dire adesso, ora); Dante saltando di pensiero in pensiero comincia a temere che i diavoli si siano messi al loro inseguimento più crudeli che’l cane a quella lievre ch’elli acceffa e suggerisce a Virgilio di trovare un nascondiglio. Stavolta l’aplomb della guida mostra un po’ di cedimento; pure lui ha avuto questo presentimento e infatti dopo aver scorto i diavoli venir con l’ali tese non molto lungi, per volerne prendere, afferra Dante come una madre farebbe col suo figlioletto per sfuggire a un incendio, se lo stringe al petto e si fa scivolare giù per la pendente roccia, facendogli in pratica da skate umano. Quando toccano terra al fondo del canyon si trovano già alla Bolgia successiva (la sesta) e sono dunque salvi, lasciando scornati i loro inseguitori ai quali non è concesso passare il confine.
Sul fondo trovano una gente dipinta che gira come sonnambula, col passo lamentoso da zombie, sotto pesanti cappucci da monaco (con fodera di piombo!). Come di consueto, Virgilio invita il suo scolaretto a dare un’occhiata per cercare di riconoscere qualcuno tra i malcapitati (come una mamma che porta il figliolo allo zoo), e come già avvenuto in altre occasioni qualcuno li ferma riconoscendo la parola tosca. Due dannati rimangono stupiti dal fatto che i visitatori non hanno la cappa punitiva e risultano vivi a giudicare da l’atto de la gola. Dalle reciproche presentazioni emerge che i due erano al tempo della loro vita mortale i frati bolognesi Catalano de’ Malavolti e Loderingo degli Andalò, già reggitori di Firenze, ora languenti nella VI^ Bolgia per peccato di ipocrisia.
La conversazione viene interrotta quando Dante si accorge di un dannato crocifisso a terra con tre pali, che si contorce e soffia ne la barba con sospiri. Frate Catalano lo addita come Caifa, sommo sacerdote che consigliò al sinedrio l'uccisione di Gesù; allo stesso modo giace a terra anche il suocero Anna, entrambi posti di traverso per la via affinché sentano qualunque passa, come pesa, pria. Dopo questa macabra visione, Virgilio chiede indicazioni ai frati per proseguire il viaggio senza incappare nuovamente negli angeli neri e scopre così di essere stato ingannato dai Malebranche; il ponte che il perfido Malacoda aveva dato per crollato è ancora perfettamente in piedi, poco distante. Virgilio è turbato un poco d’ira nel sembiante, visibilmente seccato di essersi fatto gabbare dai diavoli della quinta bolgia, e così mesto si incammina, facendo strada con le care piante (dei piedi) al suo tosco seguace.

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