52. L’infernale Quinlan (1958)
di Orson Welles
La sequenza iniziale è un lucido
esempio di come instillare la giusta dose di adrenalina allo spettatore sin
dall'incipit; c'è una bomba nel bagagliaio, e da un momento all'altro dovrà
esplodere. Per le strade c'è gente, tanta gente che si incrocia e attraversa
continuamente la strada, ci sono i due protagonisti a braccetto (uno splendido
Charlton Heston, una sexy Janet Leigh), tutti a pochi passi dall'imminente
deflagrazione.
Orson Welles è un maestro del cinema, perchè è sempre in attento equilibrio tra l'accurata creazione artistica dell'immagine e la rapidità seducente di dialoghi e sequenze. Sta sul confine, proprio come la terra in cui si svolge questo magnifico noir tra USA e Messico, e fa scaturire personaggi che "bucano lo schermo" come l'algido e laccato Vargas (Heston) o l'abulico e feroce Quinlan (Welles), personaggio obeso e zoppo, ma dotato di un'arguzia infernale (e qui possiamo tranquillamente dire che la versione italiana del titolo - come al solito lontana dal significato originale - calza davvero a pennello). L'interpretazione di Welles qui è stellare.
L'atmosfera cupa, tra gli scenari della città e del deserto, sempre sotto la sferza del vento, si accompagna ad un registro musicale assai vario, dal jazz ritmato a colpi di congas, alla pianola ragtime fino ad uno scatenato rock'n roll. La faccia di Akim Tamiroff parla praticamente da sola, tra le guest-stars ci sono la languida Marlene Dietrich (messa lì esclusivamente per i suoi occhioni) e Zsa Zsa Gabor (idem).
Orson Welles è un maestro del cinema, perchè è sempre in attento equilibrio tra l'accurata creazione artistica dell'immagine e la rapidità seducente di dialoghi e sequenze. Sta sul confine, proprio come la terra in cui si svolge questo magnifico noir tra USA e Messico, e fa scaturire personaggi che "bucano lo schermo" come l'algido e laccato Vargas (Heston) o l'abulico e feroce Quinlan (Welles), personaggio obeso e zoppo, ma dotato di un'arguzia infernale (e qui possiamo tranquillamente dire che la versione italiana del titolo - come al solito lontana dal significato originale - calza davvero a pennello). L'interpretazione di Welles qui è stellare.
L'atmosfera cupa, tra gli scenari della città e del deserto, sempre sotto la sferza del vento, si accompagna ad un registro musicale assai vario, dal jazz ritmato a colpi di congas, alla pianola ragtime fino ad uno scatenato rock'n roll. La faccia di Akim Tamiroff parla praticamente da sola, tra le guest-stars ci sono la languida Marlene Dietrich (messa lì esclusivamente per i suoi occhioni) e Zsa Zsa Gabor (idem).
51. La valle dell’Eden
(1955) di Elia Kazan
Non c'è che dire, John Steinbeck
è stato trattato molto bene da Hollywood. Dopo il magnifico Furore di Ford è la
volta di Elia Kazan che si ispira ad un altro capolavoro del cantore della
valle di Salinas, piazzando una cometa di prim'ordine - il bello e dannato
James Dean - e spalancando uno strepitoso cinemascope in warner color (ennesima
riproposizione della scala cromatica su pellicola degli anni '50). Questo East
of Eden coglie alla perfezione il doloroso e geniale humus del libro, dove
l'angelo caduto Cal riesce a toccare il cuore più del giusto Aaron e dove Caino
risulta infine più umano di Abele. La regia di Kazan si distingue per alcune
perle preziose disseminate qua e là, brevi sequenze immortali come quadri che
fanno trattenere il respiro, pregni di poesia e passione artistica; penso ai
dieci secondi o poco più in cui il padre (un perfetto Raymond Massey) guarda il
treno sbuffante allontanarsi nella valle mentre poco dietro, sempre ripreso di
spalle, il figlio "cattivo" si tiene a una timorosa distanza, come
raccolto nei suoi pensieri. Sequenza che ha l'impatto di una foto memorabile.
Così come l'incontro con la madre perduta, o il dramma fraterno che si consuma
nella penombra in un giardino tra le fronde dei salici; Kazan è una meraviglia
per gli occhi.
50. L’Atalante (1934) di
Jean Vigo
Tra la nebbia e gli scampanii di
una chiatta, scivola lungo la Senna un microcosmo affascinante popolato da
personaggi grotteschi come il marinaio père Jules dal labbro leporino (immenso
Michel Simon), la voce impastata e i gattini sulle spalle, ferrivecchi dalla
lunga barba à la Rasputin, saltimbanchi e giovani capitani dal cuore infranto.
Oltre la banchina, ammicca sorniona la Ville Lumière. Un sonoro
accurato, un'atmosfera e un insieme di espressioni che creano un magico
bizzarro effetto di realismo fiabesco. Magnifica Dita Parlo, nella parte di una
tenera sposa da mangiare di baci, occhioni ingenui e vivi. Tra le tante cose
degne di nota, straordinario l'incipit; la processione del villaggio dietro
agli sposi, l'aspra dolcezza dei due tonti marinai con i loro fiori bagnati, la
tensione che piano piano si scioglie nel viso della Parlo.
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