lunedì 12 ottobre 2015

TOP 100 FILM da vedere (dal n. 55 al n. 53)



55. The Wolf of Wall Street (2014) di Martin Scorsese

Jordan Belfort e la sua sbarellatissima corte di yuppies parvenu vivono al massimo il mantra del sex, drug & rock’n roll. I dollari piovono a palate, non si può neanche contarli. Questo drogato angelo nero della finanza è incarnato alla perfezione da Di Caprio, non si placa un attimo, si spinge sempre oltre il limite fino all'epilogo, metafora dell'immortalità di questa mentalità speculativa. Le trovate di Scorsese sono lampi di genio cristallino; si muove perfettamente a suo agio nell'ambiente sfavillante e marcio del jet-set come aveva già dimostrato nell'immortale Casinò, e qui ci propone gustosissimi sfasamenti narrativi: le Ferrari o le Lamborghini che cambiano colore in corsa, i momenti di sguardo in camera in cui Belfort ci racconta lucidamente i suoi eccessi, la visione di sequenze 'adulterate' dalle droghe poi ripercorse per come sono andati realmente i fatti (Jordan che rincasa dal Country Club per avvisare il socio che i telefoni sono controllati). Da antologia la sequenza in cui Belfort strafatto si rivitalizza con la coca per salvare l'amico Donnie (un grandissimo Jonah Hill), mentre alla tivù Popeye spreme il suo iconico barattolo di spinaci Con Scorsese, la colonna sonora non può essere che da sballo: pezzi blues, rap rock, lo hum hum di McConaughey nel "Money Chant", la fantastica "Mercy, mercy, mercy" di Cannonball Adderley riproposta in finale con quella sorta di alternate take, nella parafrasi pianistica di Alain Toussaint. Simply gorgeous.

54. Il grande sentiero  (1930) di Raoul Walsh


Capolavoro dell'epica western all'albeggiare del cinema sonoro, con l'esordio in gran stile di un giovanissimo John Wayne in completino frangiato alla Kit Carson e ciuffo ribelle. A lui si contrappone l'irsuto capocarovana impersonato dall'ottimo Tyron Power sr., "padre d'arte" di scuola marcatamente shakespeariana.
La regia di Walsh coglie, nella miglior definizione del 70mm, la vastità degli spazi, l'irrompere di battaglie e tempeste, così come la fatica di guadi, scollinamenti e traversate dove l'ingegno umano e la tenacia sono la spinta verso ovest, a bordo dei mitici prairie schooner. E quando sembra che le forze vengano a mancare, beh, basta un po' della solita, immancabile retorica americana. Per i cuori più sensibili, l'aitante imberbe Wayne sciorina un po' di romanticismo d'antan del tipo: "Un giorno, da qualche parte, i nostri sentieri si incroceranno ancora". Chiude il sipario una resa dei conti spiccia nella tormenta di neve, e un happy ending della miglior tradizione, sotto una magnifica volta di gigantesche sequoie.

53. Il dottor Stranamore (1964) di Stanley Kubrick


Uno strepitoso film antimilitarista, dal grandioso impatto scenografico, con un Peter Sellers al cubo, davvero un artista versatile e di genio che Hollywood ha perduto troppo presto. Kubrick innesta la quarta, lasciandosi alle spalle pellicole ottimamente confezionate (The killing, Orizzonti di gloria) per lanciarsi verso un estro più graffiante; ne vien fuori una commedia intelligente e bizzarra, che sa danzare col surreale senza mai scivolare nel mero demenziale, dove brillano stelle di seconda fila quali Sterling Hayden, George C. Scott (secondo me nel ruolo più divertente e indovinato, quello del generale "micione", rozzo e goffo) e il fenomenale caratterista Slim Pickens (lo adoro!). Un finale da vera e propria "The End", una ucronica serie di esplosioni con sottofondo ironicamente romantico: We'll meet again some sunny day

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