martedì 6 ottobre 2015

Top 100 FILM da vedere (dal n. 64 al n. 62)



64. I protagonisti (1992) di Robert Altman

Vi risparmierò le solite lamentele sul tisico mercato home video riservato al geniale Altman, o sull'assurdità della traduzione di certi titoli. Ciò che conta è che questo The Player ve lo potete vedere in lingua originale per gustare l'inventiva e la grandezza di questo regista, unico nella sua capacità di assemblare con grazia una folta schiera di stelle hollywoodiane, dando loro un guizzo di luce, un frame, due battute poco più. E lasciando lo spettatore avviluppato nel torbido di una trama da thriller psicologico che perlustra i gangli oscuri della produzione, mettendo in luce particolarmente lo scontro tra scrittura e mercato, ammiccando insistentemente ai grandi film tra locandine, citazioni e paralleli. Una visione parossistica che punta il dito contro la produzione blockbuster dove gli ingredienti sono sempre quelli, e vengono indicati chiaramente dal protagonista, il produttore esecutivo Mill: Suspense, laughter, violence, hope, heart, nudity, sex, and happy endings, mainly happy endings. Il protagonista, appunto, è il miglior Tim Robbins dopo Shawshank Redemption, col suo viso liscio e il suo sguardo glaciale da enfant maudit. Giustamente passato alla storia il lunghissimo piano sequenza iniziale, che omaggia tra gli altri il meraviglioso Touch of Evil di Welles.

63. L’ultimo metrò (1980) di François Truffaut

Voilà uno dei migliori film di Truffaut, calibrato come la palla di biliardo sul panno verde. Il cinema che racconta il teatro, un'operazione che mi affascina per le numerose implicazioni sceniche che comporta; come recentemente è accaduto con il bellissimo Birdman di Iñárritu, segui la storia dei personaggi in un continuum tra il palco e il dietro le quinte, che spesso si fondono magicamente. Un dietro le quinte che diventa un "sotto" le quinte, la cantina del teatro 'Montmartre' dove si nasconde e opera segretamente il regista ebreo Steiner, deus ex machina clandestino nella Francia occupata interpretato da un perfetto Heinz Bennent. Una storia che coinvolge e si dispiega con originalità tra colori brillanti, dove primeggiano la charmante Catherine Deneuve e un esuberante Gérard Depardieu, in cui Parigi è fasulla e magica come un fondale, tutta la luce si concentra negli interni tra palco, poltrone, tendaggi, scale. Tutto è recita, con applauso finale liberatorio.

62. Il vaso di Pandora (1929) di Georg W. Pabst

Storia nera a sfondo erotico dalla trama complessa, sviluppata però con straordinario nitore da quel genio di Pabst. Il regista, al contrario delle fantasmagorie di Murnau, pare saldamente ancorato con i piedi a terra, concede poche sfumature, nessuna sequenza onirica. Un eccezionale gioco di espressioni attorno ad una delle eroine più sexy del cinema muto, Louise Brooks, dallo sguardo magnetico e l'intensa carica sensuale. Lulù non è una vera dark-lady, essendo fondamentalmente frivola e ingenua; ma danza consapevolmente sulla linea d'ombra, gioca con il peccato e la seduzione, ama sinceramente e liberamente, senza farsi imbrigliare dal bigottismo maschilista del suo tempo. Ed è per questo che attira a sè gli istinti più belluini e sopraffattori degli uomini, così come la passione - saffica e materna - dell'amica Geschwitz. "Tutti vogliono il mio sangue. La mia vita", confida al vecchio fauno Schilgolch, suo "tutore" non immune da bramosie nei suo confronti. Il male la conquista passo per passo, in un incessante sabba che le sconvolge i sensi, spingendola più giù negli abissi della perdizione, per finire nelle spire di una Londra tetra e fumosa, splendidamente in contrasto con i festeggiamenti natalizi che percorrono le sue strade. Una perla del cinema muto, da non perdere davvero.

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