lunedì 5 ottobre 2015

Top 100 FILM da vedere (dal n.67 al n.65)



67. A better life (2011) di Chris Weitz

Ci sono film che sono in grado di liberare l'emozione più nascosta, non con trucchetti sentimentalistici da quattro soldi, ma con la durezza di una storia raccontata in maniera esemplare. La bellissima e ferma mano registica di Chris Weitz (che già apprezzai nel tremendamente sottovalutato 'La bussola d'oro'), la fotografia strepitosa di Aguirresarobe (The Road, Blue Jasmine), le musiche di Desplat (compositore tra gli altri di Wes Anderson e Garrone) e di grandi cantautori messicani come Antonio Aguilar (gran bella sequenza in auto sulle note di "Carta Perdida") si coagulano in un mix perfetto capace di far vibrare le corde del cuore.
Questo "Ladri di biciclette" in salsa chicana è davvero un piccolo gioiello, ingiustamente scivolato nel dimenticatoio; forse ci sono un paio di svirgole sulla sceneggiatura nei momenti topici della ricerca (tipo: se rubi un cellulare non lo lasci mica acceso e con la scheda originaria...), ma passano via senza colpo ferire.
Demiàn Bichir è straordinario (meritatamente candidato all'Oscar nel 2011), mi è piaciuto anche il giovane José Julian.

66. C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone

C'è quel ripetitivo, forse anche un po' estenuante refrain di archi che illanguidisce l'anima. Cosa sarebbe Sergio Leone senza Ennio Morricone, mi son chiesto talvolta; e probabilmente la forza evocatica di film come questo sta proprio nell'inscindibilità di questo tandem. I film di Leone sono innanzitutto trionfo del suono e della musica. Una banda di criminali in erba che sbuca giovane e ribelle dal ghetto ebraico di New York, una gangster story che è un revival delle vecchie gloriose pellicole sugli anni del Proibizionismo catturata, fotogramma per fotogramma, dall' occhio attento di Leone che sfoggia interni preziosi e barocchi, panorami suburbani ricchissimi di dettagli, comparse disposte con arte e dovizia di particolari. Una storia profondamente virile, macchè diciamo pure turpemente maschilista, violenta e irredenta dove tra i duri DeNiro e Woods sfilano pupe con timidi abbozzi di personalità e gli antartici sguardi della McGovern, fanali di un azzurro alieno che cromaticamente ricordano un certo Straniero. Molto efficace la stratificazione dei piani temporali (in tre epoche ed età diverse dei personaggi), su cui Leone gioca con estrema coerenza per portarci ad un finale a sorpresa. Con "C'era una volta in America" Leone chiude una trilogia, quella denominata del "Tempo", che a onor del vero non ha proprio nessun nesso tra le pellicole se non appunto la sequenzialità temporale. C'è sempre stato - e sempre ci sarà - un annoso dibattito sul reale valore di questo regista; sono in tanti ad abbaiare contro la luna, compresi alcuni eminenti critici, per me sparano a salve. 

65. Ombre rosse (1939) di John Ford

Grande western, ma direi grandissimo film al di là del genere. Una straordinaria fuga dalla 'Lega per la moralità', una rivincita epica di prostitute e alcolizzati sul beghinismo americano (e siamo nel 1939...) quando John Wayne non era ancora un massone e un'icona repubblicana. Commovente nella sua dolce pacatezza Claire Trevor, nei panni della prosituta Dallas, affilato e signorile John Carradine (il giocatore gentiluomo e sudista Hatfield). La regia di John Ford è un trattato cristallino di cinematografia, per lo spettatore colto come per quello semplicemente curioso ed appassionato.

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