lunedì 23 novembre 2015

Top 100 FILM da vedere (dal n. 28 al n. 26)

28. Dies irae (1943) di Carl T. Dreyer

Fuori dalle buie segrete, dove una povera vecchia ha appena finito di gridare, la telecamera indugia tre le fronde e le alte volte degli alberi; un amore skandaløs sta sbocciando mentre l'abominio dell'inquisizione sta mietendo un'altra vittima innocente. Il crepitare di un rogo, l'incessante scampanìo, il volto triste della bionda incuffiata Anne che scruta da una finestrella. Croci, croci, croci e una processione di neri ministri di una sinistra religione, un coro di voci bianche. La flebile luce del Cantico dei Cantici prova a farsi spazio nella caligine di una religiosità sessuofoba. Ma la passione si pietrifica, la feroce condanna è inevitabile.
Non c'è miglior aggettivo per questo film che "danese"; freddo come un mattino nebbioso, duro come i volti nordici nei loro austeri colletti.

27. Radio America (2006) di Robert Altman

L'uscita di scena di uno dei più grandi registi di sempre, salutato da un cast eccezionale. Malinconia, humour, un pizzico di mistero e tanta buona musica per un amoroso canto a madre Radio. Altman riusciva a estrarre il meglio da ogni attore, ed è per questo motivo che i suoi film corali sono passati alla storia; qui le regine della scena sono Meryl Streep e Lily Tomlin, ma guardate (e ascoltate!) quanto è bravo Garrison Keillor, storico conduttore radiofonico. Brillante il duo country formato da Woody Harrelson e J.C. Reilly, spumeggiante come sempre Kevin Kline.

26. Il fascino discreto della borghesia (1972) di Luis Buñuel

Capolavoro grottesco e surreale, danza leggero tra realtà e sogno e affonda i suoi artigli sulla delicata pelle di una borghesia cinica e forbita. Bunuel ci racconta la sua storia chiazzandola di tanto in tanto con improvvise bizzarrie, fughe dal verosimile nella cornice di uno stile sequenziale, sobrio e ordinato. Sono questi lampi paradossali a dare una luce incredibilmente vivida al film, aprendo gli occhi dello spettatore sulla vacua inconcludenza di una classe sociale dal frigo pieno, arroccata nella sua ipocrita etichetta. Impennate dell'assurdo, raptus di violenza inopportuna che sviscerano l'anima nera nascosta in sontuosi ricevimenti, graziosi aperitivi e case impeccabili. Ogni spiegazione a soprusi e falsità viene sempre ironicamente coperta da un rumore di fondo; il traffico, il rombo di un aereo, il ticchettare delle macchine da scrivere, tutti effetti sonori curati peraltro curiosamente da Bunuel in persona. Il regista ci vuol far capire quanto siamo sordi all'ingiustizia di classe. I pasti non vengono mai portati a compimento, ma ciò che conta in fondo sono i corretti abbinamenti, la giusta preparazione di un martini-dry o come si taglia il cosciotto. E la vita di questi fortunati fannulloni scorre tutta uguale, a passi spediti lungo una strada senza fine, circondata dal nulla.
Molto bravi gli attori, in special modo Fernando Rey, ma nel cinema del genio spagnolo contano più le immagini, sequenze memorabili come quelle del militare nella città dei morti o le cene oniriche a casa del colonnello.

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