34. American Gangster (2007) di Ridley Scott
Una gangster story serrata e
avvincente, con un cast sontuoso, che ci immerge negli ambienti malavitosi
degli anni settanta con un taglio parzialmente scorsesiano. Qui Ridley Scott ha
tirato su la testa dalla lunga apnea dopo i colpi magici di Blade Runner e
Alien, montando su una classica perfetta pulp machine dove il marcio si estende
al di là del mondo del crimine. Denzel Washington è grandioso e crudele
nonostante la dolcezza dei tratti, Russel Crowe è in stato di grazia, ma è
tutto il cast a danzare al ritmo giusto. Parte strepitosa per John Ortiz, quasi
un caratterista del poliziottesco all'italiana. Colonna sonora black soul e
funky ovviamente da capogiro.
33. 8 ½ (1963) di Federico Fellini
Quando hai finito la visione di
questo film ti ritrovi a frugare nella valigia dei tuoi migliori aggettivi, ma
non trovi nulla di adatto. Trovi ogni parola datata, usata, scialba. Ti accorgi
finalmente di come la critica non sia onnipotente e onnicomprensiva; ti rendi
conto della nebbia mistica, quel confine che separa ciò che sta da una parte e
ciò che sta dall'altra dello schermo, e di quanto sia illusorio pensare di
poter setacciare ogni cosa dell'arte, perchè alcune cose sfuggono ai tuoi
poveri mezzi. E' come provare a prendere un'anguilla con le mani bagnate,
scivola via guizzante e più viva che mai. Fellini mette in connessione sogno,
ricordo e visione, ha quella intuizione vitale, accende quella sacra fiamma a
cui guardiamo ipnotizzati in trance. Ci nutre di bellezza eterna il solo
catalogo della sua straripante, variegata, originale umanità, che affastella
primi piani di visi strani, grotteschi, popolari, circensi. La sola istanza
demitizzante arriva forse dall'impianto dialogico, così tremendamente nouvelle
vague, babelicamente snob, un lavoro di ordito del fido Flaiano e la sua penna
spudorata (ma se questo è il limite, signori miei, di cosa vogliamo parlare noi
tastieristi da pausa caffè...).
Dopo l’inevitabile intontimento post visione si può solo cercare di ricollezionare le sequenze che restano marchiate nella mente; l'abbacinante visione collettiva alle fonti dell'acqua santa, le schermaglie di carnalità tra Mastroianni e la Milo, il ballo sulla spiaggia della selvaggia gigantesca Saraghina, il sogno androcentrico del protagonista servito dalle donne della sua vita, il finale con la consueta atmosfera da luna park di periferia, tra desolazione e luci del varietà.
Dopo l’inevitabile intontimento post visione si può solo cercare di ricollezionare le sequenze che restano marchiate nella mente; l'abbacinante visione collettiva alle fonti dell'acqua santa, le schermaglie di carnalità tra Mastroianni e la Milo, il ballo sulla spiaggia della selvaggia gigantesca Saraghina, il sogno androcentrico del protagonista servito dalle donne della sua vita, il finale con la consueta atmosfera da luna park di periferia, tra desolazione e luci del varietà.
32. Quinto potere (1976) di Sidney Lumet
Geniale, a suo modo poetica e
distruttiva visione del mondo dell'immagine da parte di Sidney Lumet. L'amore
non riesce a circolare in un ambiente vacuo, condannato a soffrire per la sua
freddezza, ogni emozione, ogni passione ideale, religiosa, ogni valore viene
stravolto, gestito, modellato a piacere e ridotto a indici e percentuali. Cast
fantastico, nel quale spiccano il "pazzo profeta dell'etere" Peter
Finch e soprattutto il rude flemmatico William Holden, uno sguardo che trapassa
l'inquadratura. Si nota un linguaggio singolarmente ricercato nei dialoghi,
ampolloso perfino negli scambi di battute veloci, ma sospetto sia una
infiorettatura del doppiaggio. Finale reciso e spietato, forse un po' troppo
sopra le righe ma efficace.
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