37. Il mucchio selvaggio (1969) di Sam Peckinpah
Epico western, tra generosi
zampilli di sangue e musica mariachi. Il manipolo guidato
dall'impassibile William Holden è sostanzialmente un gruppo di falliti, che
trova il riscatto finale nell'estremo sacrificio, naturalmente affogato in un
bagno di sangue da guinness dei primati. Nell'annoso confronto con il western
di Leone, Peckinpah ha dalla sua la verosimiglianza e soprattutto l'azione,
laddove invece non raggiunge - a mio avviso - la poesia e l'ironia del regista
italiano. Eppure sotto la scorza della spietatezza anche i suoi eroi hanno un
fascino crepuscolare, più asciutto ma ugualmente struggente. Non è un paese per
vecchi? Oh, sì, eccome se lo è! Holden e Borgnine avranno anche la pelle avvizzita,
ma la vendono cara, molto cara.
36. Baby Doll (1956) di Elia Kazan
Incantevole ambientazione dixie
per questa black comedy di Kazan tratta dalla penna amara di Tennessee
Williams, una sorta di prototipo lolitesco. Una carica erotica che non sfuggì
ovviamente alla stolidissima Legion of Decency, tratteggiata invece con garbo e
stupefacente delicatezza dal regista in sequenze memorabili come il lungo
dialogo di seduzione tra i campi e la "casa stregata". Si può
percepire nella recitazione il famoso "metodo Stanislavskij", mutuato
dall'Actor's Studio, per cui gli attori si immedesimano nel personaggio dopo un
complesso lavoro di psicotecnica; Karl Malden straripante, un esordio perfetto
per Eli Wallach aspro ma romantico 'wop' (termine dispregiativo per definire
gli italiani in USA; il personaggio di Silva Vacarro nell'edizione italiana
diventa sivigliano); magnifica la ninfa bionda Caroll Baker con le sue risate
argentine e i suoi singhiozzi, ma il personaggio che buca lo schermo rimane
quello della stralunata aunt Rose - interpretata da un'adorabile Mildred
Dunnock - che serve gli spinaci crudi perchè ha dimenticato di accendere i
fuochi e va a trovare i degenti all'ospedale solo per mangiare i loro
cioccolatini.
Fotografia semplicemente da urlo di Boris Kaufman.
Fotografia semplicemente da urlo di Boris Kaufman.
35. Duello a Berlino (1943) di M. Powell & E. Pressburger
Straordinaria commedia drammatica
frutto del più felice sodalizio artistico del cinema british. Una storia
d'amicizia virile e inossidabile tra un ufficiale inglese ed uno tedesco,
coraggiosa breccia nel muro di ostilità tra due nazioni che se le sono date di
santa ragione a inizio secolo scorso; questa bellissima "anomalia"
storica non passò inosservata, facendo piovere forti critiche nazionaliste
(siamo nel '42, in pieno conflitto mondiale) alla premiata ditta Powell &
Pressburger. Sceneggiatura e scenografia danzano in una stupenda combinazione
artistica, dai colori scuri e ricchi degli interni rococò al cupo e desolato
orizzonte di guerra nelle Fiandre, disegnato dal pennello dello stesso
Pressburger in un bozzetto che finì perfino appeso alla Royal Academy. Indimenticabili
interpretazioni per il trio al centro scena, con una leggiadra Deborah Kerr, un
placido e nobile Anton Walbrook ed un superbo Roger Livesey dal timbro franco e
baritonale. Consigliatissima la visione in lingua originale.
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