martedì 29 settembre 2015

Top 100 FILM da vedere (dal n. 73 al n. 71)



73. Lincoln (2012) di Steven Spielberg


Spielberg ritorna grande e lo fa cambiando registro, scegliendo per uno dei pochissimi biopic a cui mancava il grande kolossal (si deve risalire a John Ford) una impostazione dialogica e riflessiva, dove fotografia ed effetti sono tenuti al minimo indispensabile. Il risultato è sorprendente, grazie anche soprattutto ad un Daniel Day-Lewis che definire maiuscolo è troppo poco, accompagnato da una magnifica Sally Field; la storia dolorosa della coppia occupa buona parte della sceneggiatura, ma anche se solitamente a Hollywood il rapporto lui/lei rappresenta l'ingrediente stucchevole che ingolfa la trama, in questo caso la sintesi della tensione domestica, sotto la tempesta della storia, è forse il lato più interessante. Un interpretazione monstre anche per Tommy Lee Jones.

72. Paris, Texas (1984) di Wim Wenders

Un film stupendo, di una lentezza magniloquente. Wenders fotografa l'immensa periferia americana con un gioco di colori assolutamente eccezionale (fotografia di Robby Müller), dalle vastità del deserto texano alla desolazione urbana, mettendo al centro la storia dolce e amara di un difficile ricongiungimento famigliare. Il senso di paternità, inghiottito nel vortice dell'alienazione, riemerge come il pulsare del sangue, sfida tutto e ricostituisce - senza gli eroismi urlati e isterici a cui ci ha un po' abituati Hollywood, ma con calma tedesca e wendersiana - il legame famigliare.
Attori meravigliosamente comprimari, facce ordinarie che parlano anche nel silenzio; esprimo una riserva per la Kinski, che non mi è mai piaciuta troppo, sebbene riesca comunque a far brillare una lacrima nella scena finale. Il soggetto di Shepard è toccante, la chitarra di Ry Cooder fa vibrare l'anima.

71. La morte corre sul fiume (1955) di Charles Laughton


L'atmosfera cupa di questo thriller viene resa eccezionalmente dai giochi di luce e ombra di una fotografia levigata ed essenziale (Stanley Cortez), che cattura gli spettrali scenari dell'America rurale, tra riflessi notturni sul fiume e fienili al tramonto, oltre che da un Mitchum semplicemente mostruoso. Magnifica anche Shelley Winters, in pratica l'unico buon personaggio oltre ai bambini protagonisti. Angosciante, con qualche eccesso di recitazione reso ancor più goffo dal solito doppiaggio svilente, ma capolavoro di tensione.

lunedì 28 settembre 2015

Top 100 FILM da vedere (dal n. 76 al n. 74)



76. Pulp fiction (1994) di Quentin Tarantino

Forse si parla un po’ troppo di Tarantino, ma questa miscela esplosiva di violenza e black humour è indubbiamente un capolavoro a 360 gradi; lo scompaginamento temporale è una trovata registica divertente, come irresistibili sono i dialoghi infarciti di minchiate tra Vincent e Jules, il twist di Travolta e la Thurman, la scenetta grottesca del colpo di pistola accidentale in auto. Tra i tanti personaggi, trovo personalmente tenerissima l'ingenua Fabienne (Maria de Medeiros). La colonna sonora è obiettivamente stratosferica. Questo film si rivede volentieri, un pulp davvero cazzutissimo che ha lasciato il segno nel cinema anni '90.



75. Nosferatu, il principe della notte (1978) di Werner Herzog.

Una straziante opera gotica, un canto notturno ricco d'atmosfera che dalle impervie montagne di Varna approda alle austere guglie di Wismar. Il Nosferatu di Herzog è pura poesia, inserirlo nel minestrone degli horror sarebbe un insulto alla sua bellezza; come il vampiro Dracula, è una pellicola condannata all'eternità, che soffre la luce e si nutre del pallore virgineo di spettatori non ancora inquinati dalle esplosioni emostatiche del trash contemporaneo. Klaus Kinski è un Principe della Notte inarrivabile, forse nemmeno il suo antesignano Max Schreck riuscì a toccare questo livello artistico. Molto bravi Ganz e la stupenda giovane Adjani, che riesce a trasmettere carica erotica perfino nel suo concedersi alla morte per dissanguamento. La regia di Herzog è ispirata ed emozionante, le inquadrature serotine della Transilvania sono gemme di malinconia. Il vero orrore del film resta il tappeto di ratti nella banchina del porto.



74. 127 ore (2010) di Danny Boyle

C'è una certa brutale poesia nel vedere James Franco, coltellino in mano, scalpellare inutilmente la roccia mentre in sottofondo parte quasi beffardamente Lovely day di Bill Withers. C'è una brutale poesia perfino nella scena madre, dove il rosso cupo regna sovrano. Un film magnetico, dove non vedi l'ora che finiscano gli intervalli delle allucinazioni per tornare nelle profondità del buco, e vedere cosa farà ora questo pazzoide di un Aron Ralston alle prese con quel "cazzo di masso" (cit.)

venerdì 25 settembre 2015

Top 100 FILM da vedere (dal n.79 al n.77)

79. Un volto nella folla (1957) di Elia Kazan

 Questi sono film da riscoprire, tutti da gustare in quella che definirei una stupenda rurale raffinatezza; c'è infatti questo magnifico contrappunto tra la seta delle immagini, la viva compostezza della scenografia, la teatrale intensa recitazione à la Stanislavsky da un lato, e l'atmosfera campestre e folk dall'altra, tra contrade di provincia e semplicioneria di floride cheerleaders e magnifiche vecchie sdentate con l'orecchio incollato alla radio. Gli attori con Kazan sputano fuori l'anima, senza lesinare sugli accenti acuti del loro personaggio; l'istrionico Andy Griffith è perfetto, così come Walter Matthau con la sua inconfondibile andatura ciondolante, ma spicca anche la dolcemente determinata Patricia Neal. Anche qui il soggetto è di Budd Schulberg, premio Oscar per il più celebre Fronte del porto. Con Kazan i due formarono un sodalizio artistico eccezionale, anche se politicamente deprecabile; collaborarono con il tristemente noto senatore McCarthy nella sua folle caccia alle streghe anticomunista, tanto che di loro disse un invelenito Orson Welles: "Hanno venduto i loro amici per comprare una piscina".

78. Harold e Maude (1971) di Hal Ashby


"Io non sono mai vissuto. Sono morto, qualche volta". Un diafano ragazzo col senso del macabro e una vecchietta supersprint, uniti da una insana passione per i funerali, incrociano le loro strade in una romantica commedia nera, capolavoro del cinema grottesco. Ashby riesce a imbastire un incredibile inno alla vita partendo dalle peggiori premesse, come solo i grandi narratori possono fare; il greve bozzolo di una esistenza da psicanalisi si trasforma assumendo i contorni della poesia più bella, bizzarra e anticonvenzionale, dispiegando le fragili ali di un amore gerontofilo. L'humour nero, denso di velenoso sarcasmo, fece storcere il naso a più di qualcuno, compreso il mio critico di riferimento Roger Ebert il quale affibbiò alla pellicola una misera stellina e mezzo. La coppia di protagonisti è ovviamente strepitosa, Ruth Gordon è adorabile.

77. Il pianeta delle scimmie (1968) di Franklin J. Schaffner


E' stato per lungo tempo uno dei miei guilty pleasures. Anni fa infatti non godeva di grande reputazione, se confrontato con i gioielli della sci-fi successiva; oggi viene riabilitato, complice il flop del pessimo remake firmato da Tim Burton. Provando a confrontare l'originale con la versione del 2001, infatti, si potrà considerare il paradosso che vede le moderne tecniche digitali - che hanno raggiunto livelli pazzeschi - soggiacere inesorabilmente al fascino della buona vecchia fantascienza di cartapesta (o quasi). Cioè, le atletiche super-scimmie di Burton risultano molto, ma molto più ridicole delle mitiche maschere di gomma del 1968. L'incipit di questo film, i primi venti-venticinque minuti che vedono l'ammaraggio di Taylor e compagni e la loro esplorazione di una vasta landa desolata, sono da antologia, e incollano lo spettatore alla sedia; anche la caccia agli umani è strepitosa, pur con tutti i suoi manichini volanti dai dirupi e le manganellate palesemente rallentate. Perfino i feticci lungo la Zona Proibita, quelle specie di spaventapasseri fatti a croce, riescono ad essere creepy, incutendo il giusto timore; c'è - come dire - la purezza della tensione. La genuinità di una sci-fi priva degli inganni al visus moderno; non è roba d'antiquariato, demodé, datata etc., è piuttosto fantascienza purissima, incontaminata, seminale. Charlton Heston, col suo torace villoso e il suo sorriso fatto di lisci sassi bianchi, è un semidio anche senza strafare con l'interpretazione; il ruolo gli è stato cucito addosso con perfezione, lui ci mette la barba, qualche salto e un paio di ceffoni, e il gioco è fatto. Dulcis in fundo: indimenticabili le musiche di Jerry Goldsmith, con quel pianoforte rapido, percussivo, folle, e quel tamburo profondo e rimbombante.