73. Lincoln (2012) di Steven Spielberg
Spielberg ritorna grande e lo fa
cambiando registro, scegliendo per uno dei pochissimi biopic a cui mancava il grande
kolossal (si deve risalire a John Ford) una impostazione dialogica e
riflessiva, dove fotografia ed effetti sono tenuti al minimo indispensabile. Il
risultato è sorprendente, grazie anche soprattutto ad un Daniel Day-Lewis che
definire maiuscolo è troppo poco, accompagnato da una magnifica Sally Field; la
storia dolorosa della coppia occupa buona parte della sceneggiatura, ma anche
se solitamente a Hollywood il rapporto lui/lei rappresenta l'ingrediente
stucchevole che ingolfa la trama, in questo caso la sintesi della tensione
domestica, sotto la tempesta della storia, è forse il lato più interessante. Un
interpretazione monstre anche per Tommy Lee Jones.
72. Paris, Texas (1984) di Wim Wenders
Un film stupendo, di una lentezza
magniloquente. Wenders fotografa l'immensa periferia americana con un gioco di
colori assolutamente eccezionale (fotografia di Robby Müller), dalle vastità del deserto texano alla
desolazione urbana, mettendo al centro la storia dolce e amara di un difficile
ricongiungimento famigliare. Il senso di paternità, inghiottito nel vortice
dell'alienazione, riemerge come il pulsare del sangue, sfida tutto e
ricostituisce - senza gli eroismi urlati e isterici a cui ci ha un po' abituati
Hollywood, ma con calma tedesca e wendersiana - il legame famigliare.
Attori meravigliosamente comprimari, facce ordinarie che parlano anche nel silenzio; esprimo una riserva per la Kinski, che non mi è mai piaciuta troppo, sebbene riesca comunque a far brillare una lacrima nella scena finale. Il soggetto di Shepard è toccante, la chitarra di Ry Cooder fa vibrare l'anima.
Attori meravigliosamente comprimari, facce ordinarie che parlano anche nel silenzio; esprimo una riserva per la Kinski, che non mi è mai piaciuta troppo, sebbene riesca comunque a far brillare una lacrima nella scena finale. Il soggetto di Shepard è toccante, la chitarra di Ry Cooder fa vibrare l'anima.
71. La morte corre sul fiume (1955) di Charles Laughton
L'atmosfera cupa di questo
thriller viene resa eccezionalmente dai giochi di luce e ombra di una
fotografia levigata ed essenziale (Stanley Cortez), che cattura gli spettrali scenari
dell'America rurale, tra riflessi notturni sul fiume e fienili al tramonto,
oltre che da un Mitchum semplicemente mostruoso. Magnifica anche Shelley
Winters, in pratica l'unico buon personaggio oltre ai bambini protagonisti.
Angosciante, con qualche eccesso di recitazione reso ancor più goffo dal solito
doppiaggio svilente, ma capolavoro di tensione.