13. Le ali della libertà (1994) di Frank Darabont
Rivedere questo film è una gioia
per gli occhi e per il cuore. Frank Darabont è regista e sceneggiatore dalla
filmografia contenuta ma che difficilmente sbaglia un colpo (suoi lo splendido Il
miglio verde e l’affascinante trasposizione cinematografica di The
Walking Dead). Insuperato nel genere "film carcerari", con
un soggetto grandioso (c'è la mano del Re) e due attori che raggiungono qui l'apogeo
della loro carriera, Tim Robbins e Morgan Freeman, "Le ali della
libertà" è tra le tante cose un atto d' amore verso la cultura, verso
l'arte che non può conoscere sbarre. Ciò si manifesta cristallinamente con la
memorabile sequenza della diffusione via altoparlante delle Nozze di Figaro di
Mozart. Questo film risulta addirittura al
primo posto nella Top 250 di Imdb, quindi una classifica che rispecchia
efficacemente il gradimento popolar-cinefilo, punto di giuntura tra il critico navigato
e il consumatore di popcorn; beh, per quello che contano queste classifiche, vi
dirò che io non ho molto da eccepire in merito.
12. Quei bravi ragazzi (1990) di Martin Scorsese
Giù il cappello, questa è una
storia criminale con pochissimi concorrenti all'altezza. Scorsese ha sparato
una coppia d'assi pazzesca nei primi anni Novanta (a questo, si affianchi
l'altrettanto strepitoso Casinò, cinque anni più tardi). Guardatevi
queste due ore abbondanti di pellicola, ditemi voi se trovate qualche difetto.
La regia trova una incredibile sintesi di ritmo, energia e qualità dell'immagine, del sonoro, delle musiche. Perfino il doppiaggio va che è una favola; sincronizzatissimo, recitato all'altezza dell'originale, oltre al fatto che risulta naturalmente "tagliato" per l'edizione italiana, visto il marcato accento dei "mangiaspaghetti".
Joe Pesci è un attore per cui non stravedo, sarò sincero. Ma nella parte del gangster psicolabile, in Goodfellas come in Casinò, è stato gigantesco. DeNiro qui secondo me è un po' meno convincente dell'azzimato "Asso" Rothstein, mentre il posto più alto del podio spetta senza dubbio al protagonista, Ray Liotta, con la sua risata sguaiata, il suo sguardo plastico e glaciale che assume nell'ultima parte del film quell'aria strafatta, paranoica, senza dubbio l'apice della sua altalenante carriera. Amo il modo di fare e intendere il cinema di Martin Scorsese. La sua visione personale in grado di reinterpretare ogni tipo di materiale, di raccontare una storia senza mollarla mai, anzi più precisamente di farla raccontare ai suoi personaggi, diversificando i punti di vista.
La regia trova una incredibile sintesi di ritmo, energia e qualità dell'immagine, del sonoro, delle musiche. Perfino il doppiaggio va che è una favola; sincronizzatissimo, recitato all'altezza dell'originale, oltre al fatto che risulta naturalmente "tagliato" per l'edizione italiana, visto il marcato accento dei "mangiaspaghetti".
Joe Pesci è un attore per cui non stravedo, sarò sincero. Ma nella parte del gangster psicolabile, in Goodfellas come in Casinò, è stato gigantesco. DeNiro qui secondo me è un po' meno convincente dell'azzimato "Asso" Rothstein, mentre il posto più alto del podio spetta senza dubbio al protagonista, Ray Liotta, con la sua risata sguaiata, il suo sguardo plastico e glaciale che assume nell'ultima parte del film quell'aria strafatta, paranoica, senza dubbio l'apice della sua altalenante carriera. Amo il modo di fare e intendere il cinema di Martin Scorsese. La sua visione personale in grado di reinterpretare ogni tipo di materiale, di raccontare una storia senza mollarla mai, anzi più precisamente di farla raccontare ai suoi personaggi, diversificando i punti di vista.
11. Trono di sangue (1957) di Akira Kurosawa
Un magistrale Macbeth con katana
e kabuto sullo sfondo del Giappone feudale. Un coro greco ci introduce al
panorama desolato di nebbia e vento da dove con un flashback veniamo portati
alle vestigia di una antica fortezza. Due cavalieri sperduti nell'intrico della
foresta sotto la pioggia incontrano uno spirito con le sembianze di una vecchia
diafana tessitrice, che predirà loro un glorioso e terribile futuro.
Così nel solco di una profezia che andrà inesorabilmente ad avverarsi vaticinio per vaticinio, cresceranno nel cuore del vulcanico Washizu il fuoco del sospetto e dell'alienazione, alimentato dai sussurri di una laconica Lady Macbeth in frusciante kimono. Kurosawa orchestra con grandezza una trama profondamente ancorata al modello scespiriano, che tra oscuri presagi e intrighi di palazzo giunge al grande assedio finale beffardamente architettato dal destino, così imprevedibile nelle sue stravaganti manifestazioni perfino nei circuiti chiusi delle profezie. Toshirō Mifune è semplicemente divino, anche nelle sue espressioni più forzate e caricaturali.
Così nel solco di una profezia che andrà inesorabilmente ad avverarsi vaticinio per vaticinio, cresceranno nel cuore del vulcanico Washizu il fuoco del sospetto e dell'alienazione, alimentato dai sussurri di una laconica Lady Macbeth in frusciante kimono. Kurosawa orchestra con grandezza una trama profondamente ancorata al modello scespiriano, che tra oscuri presagi e intrighi di palazzo giunge al grande assedio finale beffardamente architettato dal destino, così imprevedibile nelle sue stravaganti manifestazioni perfino nei circuiti chiusi delle profezie. Toshirō Mifune è semplicemente divino, anche nelle sue espressioni più forzate e caricaturali.
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