giovedì 21 gennaio 2016

Top 100 FILM da vedere (dal n.19 al n. 17)

19. Effetto notte (1971) di François Truffaut



Nella vita non si fa in tempo ad afferrare qualcosa che *puff!* non c'è già più. Nel cinema invece guardi i giornalieri e decidi cosa tenere, cosa no. Nel mondo del cinema tutto è inganno, come l'amore effimero tra Alphonse e Lilian, c'è chi lo trova "irrespirabile" come la stereotipica moglie del segretario di edizione. E la vita, la vita invece è "disgustosa", come dice la splendida fragile Jacqueline Bisset (eppure anche questa sua frase così lapidaria potrà finire con grande naturalezza impressa nel copione del film), la vita ti fa fare gli stessi sbagli e per cento volte ti troverai ad aprire la porta sbagliata come la diva autunnale Valentina Cortese, decadente Gloria Swanson truffautiana. Con la smaliziata Joelle potremmo dire ai disillusi: "Ottima idea, sì, è un'ottima idea! Lascia perdere il cinema", perchè noi all'illusione del cinema vogliamo tenerci stretti fino all'ultimo respiro. Tante volte è morto il navigato attore Alexandre, in tanti differenti modi. Quando accadrà davvero, troveremo una controfigura. Come dice il produttore "Bisogna finirlo, questo film".
Truffaut qui ha fatto centro in tutti i sensi. Un meta-cinema totale, che conquista per leggerezza e coerenza, innamora, incanta, mostra trucchi, tecniche e mestiere di ciò che sta dietro la cinepresa.


18. Nashville (1975) di Robert Altman


Un magnifico film corale, incastrato nelle profondità dell'America con basette, chitarra e stivali, quell'America cinica, virile e spensierata che trova nido nella musica folk e country. La regia di Altman è una griffe assolutamente originale, i film alla Altman sono concerti polifonici di voci e rumori di fondo, gallerie di personaggi (qui ce ne sono almeno una ventina) tutti con la loro collocazione precisa nella storia; Nashville costa allo spettatore un po' di sana fatica - per quanto mi riguarda, assolutamente premiata! - ma venire a capo della matassa non è poi così difficile. Come in un vortice, tutto converge verso il pathos finale, in cui assistiamo ad un corale irresponsabile It don't worry me che suona come un atto di accusa clamoroso all' intorpidimento della folla, che non si smuove davanti a nulla. Che vuole entertainment, si fa insensibile e ingorda, come la platea maschile che da SueLynne vuole solo lo spogliarello in una scena davvero penosa, lei che canta stonata e frastornata mentre intorno piovono soldi e beceri cori da stadio. La folla che fischia la famosa cantante Barbara Jean (Ronee Blakley, stupenda ed eterea nel suo pallore, nelle sue movenze da dea scheletrica, nei suoi lunghi vestiti bianchi) in un momento di fragilità umana. La folla che non discerne, ma beve tutto ciò che le viene offerto se ha le bollicine; su questo principio si muove la politica maneggiona, con i suoi bravi galoppini, pronta a domare e imbrigliare la musica, il miglior viatico per arrivare ai rudi baffuti del Tennessee e alle loro casalinghe disperate.


17. La tragedia del Bounty (1935) di Frank Lloyd


Non mi faccio troppi scrupoli, lo definirei uno dei film più belli di Hollywood.
Di una bellezza oceanica, che unisce l'avventura al linguaggio marinaresco, la marzialità britannica al fascino esotico dell'idillio tahitiano. C'è la salsedine e la fatica, la frusta e il grog, l'amicizia e la rigida gerarchia imposta a bordo di una His Majesty Ship. C'è una fotografia che galvanizza ogni nuance di grigio perla, grigio plumbeo, bianco spuma, nero notturno. Mai come in questo film i colori sembrano urlare maestosi dietro ai limiti storici di una pellicola anni trenta. Clark Gable è un ottimo Fletcher Christian, migliore del Marlon Brando nella versione del '62, ma la vetta del podio spetta al magnifico Charles Laughton e al suo inclemente Captain Bligh, un antagonista che non sceglie per la sua magistrale interpretazione la facile strada del sadico, ma la farcisce con un meraviglioso inglese infagottito, con una parlata "guanciale", rapida e fiera - vi raccomando, guardatevelo in lingua originale! - ed incarna un perfetto prodotto dell'accademia navale britannica, spietato e impassibile, tronfio, irascibile senza perdere mai l'aplomb. Perfino umano, in certe situazioni come il sostentamento del vecchio e fedele Morgan sulla scialuppa in mare aperto, dopo un violento ammutinamento.